dall'inviato TIZIANO CARMELLINI DUISBURG — Appuntamento con la storia.
Infiniti i flash-back delle sfide contro i tedeschi (tutti o quasi a nostro vantaggio), così come i paragoni e le similitudini tra le partite giocate in tempi andati. Come la semifinale di Messico '70 che delinea l'inizio della leggenda, della partita per antonomasia, che ha ispirato film e canzoni, che ha chiuso il decennio del boom e delle speranze e inaugurato quello della crisi energetica e degli anni di piombo. C'è molto del passato in questa Italia che, come nell'82 è partita piano ed è poi esplosa nel corso della competizione diventando la mina vanagate del torneo. «Sfida con l'Italia per la doppia vendetta», titolano a nove colonne i quotidiani tedeschi che vogliono riscattare le sconfitte del '70 e proprio la finale persa in Spagna nell'anno del nostro ultimo titolo mondiale. In Germania ridono, festeggiano, bevono fiumi di birra, ma c'è il timore di incappare di nuovo proprio in quella Italia fin troppo sbeffeggiata. L'immigrazione italiana ormai fa parte della storia di questa nazione che ritrova pennellate di tricolore ad ogni angolo di strada. Perché qui, uscite di cattivo gusto a parte (e scuse al seguito), non è che abbiano una grande opinione del popolo italiano: forse anche perché gliele abbiamo suonate più volte (e anche di quelle che fanno tanto male). Da quell'11 luglio del 1982 di tempo ne è passato tanto, ma i ricordi, le urla liberatorie e la gioia del Belpaese intero sono ancora lì piantate nella testa di tutti gli italiani, come il pianto inconsolabile e la delusione in quelle del popolo teutonico. Quattro successi, quattro pareggi e tre sole sconfitte, l'ultima delle quali però arrivò, dodici anni fa, proprio ad opera di quel Klinsmann che ora siede sulla panchina tedesca (era il 23 marzo del '94). Arriviamo per l'ottava volta tra le migliori quattro del mondo e lo facciamo con una nazionale diversa dal solito che non ha un bomber conclamato, ma che riesce a mandare a rete ben otto giocatori diversi. E proprio sull'uomo leader, sul personaggio e sulle «staffette» il ricorso storico è d'obbligo. Toni che si sblocca ricorda molto quel Riva che proprio nella semifinale contro i tedeschi si sbloccò con quel terzo gol che entrò nella storia dopo il coniglio tirato fuori dal cilindro «biondo» di Schnellingher. Come Totti fa venire in mente il Rivera risolutivo, colui che fece piangere l'Italia intera di gioia dopo il gol decisivo nella sfida delle sfide. C'è questo e molto di più nella sfida che ci apprestiamo a giocare e la squadra sembra saperlo. Lui, l'uomo che Lippi ha scelto per affidargli la sua nazionale, è pronto e rinnova la sfida. Totti sa che questa partita può farlo entrare definitivamente nella storia del calcio italiano. «Non ho intenzione di mollare proprio ora, nessuno di noi lo farà» dice il romanista ormai investito totalmente nel ruolo di trascinatore azzurro, nonostante in azzurro vada molto di moda la parola «gruppo». «Adesso ci aspetta la Germania - dice convinto - loro sono forti, hanno grandi giocatori, ma noi mica scherziamo. A loro favore può giocare il fatto che sono i padroni di casa, ma noi vogliamo regalare una grande soddisfazione a quelli che in questa nazione ci vivono e ci lavorano. Un motivo in più di orgoglio, insomma. Sarà una partita di quelle emozionanti, di quelle che un calciatore sogna di giocare e che in pochi hanno la fortuna di vivere da protagonista». In questa Italia che vuole entrare di nuovo nella storia cambiano i protagonisti, ma non la voglia, le motivazioni, l'orgoglio di essere italiani. I vari Conti e Cabrini indossano ormai i panni dei tifosi e di partite mondiali non se ne perdono una. Sono lì ancora con quella giornata estiva di quasi quindici anni fa stampata nella testa. Lo leggi nei loro sguardi, nel ghigno sereno di chi ha già dato: ora è il momento degli altri, dei giovani, di quelli che arrivano dopo. È il momento di Totti e dell'Italia targata Lippi. E a ricordaglielo, qualora ce ne fosse bisogno, ci sono i duecento t