Fairplay
Credo di aver scritto una volta (forse, più di una) che il calcio in Italia è più importante della politica e della religione. Ecco allora che non c'è da sorprendersi se il caso Juventus, che si può definire caso - Moggi dal nome del suo principale protagonista, ha cancellato o parzialmente nascosto avvenimenti di portata certamente più elevata come la nomina del Presidente della Repubblica o di maggiore tradizione popolare come il Giro d'Italia. Tutti i quotidiani hanno stravolto la loro abituale impaginazione trasportando nelle pagine centrali e sottraendoli a quelle dedicate allo sport le registrazioni, i commenti, i pareri relativi allo scandalo più clamoroso e più grave mai verificatosi nella storia del mostro passatempo nazionale. La scorsa settimana ho provato ad ipotizzare, prima ancora di avere ben chiara la dimensione del fenomeno, il numero dei soggetti implicati e le loro responsabilità, quale potrebbe essere la via di uscita nel caso - quasi unanimemente ritenuto inevitabile - di retrocessione della Juventus. Ho verificato, parlandone con qualche amico o qualche addetto ai lavori che quasi nessuno è favorevole alla mia idea, che era - ed è - l'esclusione della Juventus dal prossimo campionato (due mi sembrano troppi) e la sua riammissione- se tecnicamente necessario con una piccola rettifica nel nome - al successivo campionato di serie A. Lasciando per il momento da parte questo problema, mi pongo invece quello dei diversi percorsi che potranno seguire la giustizia sportiva e quella ordinaria. Quella sportiva ha due grandi vantaggi, la maggiore rapidità e la prerogativa di poter essere meno garantista. Il famoso articolo 1 che c'è nello statuto di quasi tutte le federazioni sportive e che impone i principi di correttezza e di lealtà, è più che sufficiente a determinare la squalifica ed al limite anche la radiazione per chi questi principi ha certamente violato. Impropriamente sono stati confrontati il caso Juventus ed il caso Genoa, che finì in serie C per una partita clamorosamente ed infantilmente comprata. Nel caso Juventus (ed in tutta le vicende ad esso collegate) non c'è prova di scambio di denaro e francamente non credo che ce ne sia stato ma è fin troppo evidente che il sistema messo in atto da Moggi è molto più grave, nelle conseguenze e nelle dimensioni, di quello del Genoa che ha riguardato una sola partita (ciò detto ai difensori del Genoa che si lamentano di essere stati torturati dico che la radiazione poteva anche essere un provvedimento adeguato). Tornando al discorso delle due giustizie mi piace ricordare un episodio molto lontano, nel tempo e nei chilometri, che si è verificato nel 1921 negli Stati Uniti. Due anni prima otto giocatori della White Soz (le calze bianche) di Chicago furono corrotti da un gruppo di scommettitori tra i quali si trovava anche un ex campione del mondo di pugilato (Abe Attell). Furono scoperti e portati in tribunale ma furono assolti perché all'epoca non esisteva una legge sulla frode sportiva. Tuttavia nessuno di quei giocatori ha mai più disputato una sola partita. C'è uno splendido episodio che tutti gli americani di una certa età conoscono. All'uscita dal tribunale un bambino in lacrime si rivolge al campione più noto e gli grida: «dimmi che non è vero». L'episodio è passato alla storia come lo scandalo delle calze nere, tali erano diventate quelle bianche. Noi abbiamo, della vita e della giustizia (soprattutto di quella sportiva), una visione diversa. Paolo Rossi è stato squalificato per un anno, poi ci aiutato a vincere un campionato del mondo. Siamo meglio noi o sono meglio loro?