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L'OSSERVATORIO

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Impresa quasi impossibile, nelle tre giornate che mancano alla chiusura dei conti, recuperare tre punti alla Fiorentina, ormai con un piede e mezzo in Champions. Per ventisette volte consecutive a segno, si ferma nel momento forse decisivo la macchina da gol romanista, che mai aveva sofferto la sterilità nonostante l'assenza di punte autentiche e nonostante, soprattutto, il lungo stop forzato di Francesco Totti. La legge dei grandi numeri ha colpito inesorabilmente, ma in realtà era fin troppo facile stabilire come la Sampdoria non fosse il tappetino da calpestare che la classifica sembrava segnalare. Con il primo calduccio di una pigra primavera a illanguidire i muscoli e influire con effetti soporiferi sui riflessi, la Roma ci ha provato generosamente alla distanza, dopo un primo tempo giocato forse con la riserva mentale di non sperperare energie troppo presto. Energie che logicamente i romanisti sono ormai obbligati a centellinare, per la cronica impossibilità di far tirare il fiato allo sparuto drappello che ha condotto finora l'estenuante volata verso la prospettiva europea, lontanissima a fine anno e poi quasi materializzatasi prima degli ultimi due episodi: il secondo inevitabile coda della sfortuna di Palermo. Il sabato calcistico ha ulteriormente appesantito il cammino futuro della Roma, in presenza di due trasferte, a Verona e a San Siro, di fronte a squadre entrambe probabilmente molto motivate, per obiettivi diversi. Il balordo applauso di Mexes a Morganti rappresenta forse l'ultima testimonianza di una serenità smarrita, quella serenità che aveva costituito un fattore fondamentale nelle belle imprese, nei record, nello spettacolo comunque offerto su tutti i campi. Se il miracolo non si verificherà, perché ormai di miracolo si tratta, resterà comunque il grazie convinto del popolo giallorosso, resterà l'applauso sincero di tutta l'Italia del calcio.

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