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di DOMENICO LATAGLIATA TORINO — Non parla nessuno.

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Tornerà a farlo chissà quando. Probabilmente quando arriverà - se mai arriverà - la matematica certezza del ventinovesimo scudetto da mettere in bacheca. Sta diventando una tradizione, quella di non potersi confrontare con Capello e compagnia: se ne faranno una ragione tifosi e appassionati, cui interessa solo vincere. Amen, alla fine. Restiamo ai fatti. La Signora schiacciasassi che aveva accumulato anche 14 punti di vantaggio sul Milan (5 febbraio, per l'esattezza) non va più avanti. Non vince da sette partite, pareggia da quattro consecutive, arranca contro squadre di medio livello e anche di basso livello. E' uscita dalla Champions League nei quarti di finale contro l'Arsenal, fallendo l'obiettivo principale della stagione e dovendosi «accontentare» del solito tricolore. Se mai arriverà, appunto. Se non arrivasse, però, apriti cielo. Già così, i tifosi sono in subbuglio: la contestazione durante il ritorno contro i Gunners ha lasciato il segno e la permalosità di Capello & C. è tornata a galla. Ieri dalla curva Scirea sono arrivati quasi solo incitamenti, ma momenti di nervosismo non sono mancati di fronte a uno dei mille errori di Zebina (fischiato sonoramente fin dall'annuncio della formazioni), o ai giochettini sempre più fini a se stessi di un Ibrahimovic che ha segnato meno del triplo dei gol di Suazo, attaccante del Cagliari. Fortunatamente per la Juve ci ha pensato il solito Trezeguet, riesumato appena in tempo dopo una sosta ai box di due settimane: gol numero 123 e Juve che respinge l'ulteriore attacco del Milan. Un Milan con la testa a Barcellona ma che non smette di sperare nell'aggancio impossibile. Vale la pena ricordare che quest'anno, in caso di arrivo in parità, lo scudetto andrebbe ai rossoneri in virtù degli scontri diretti favorevoli: vittoria a San Siro, pareggio a Torino. E allora guardiamo il calendario. La Juve andrà domenica a Siena, contro una squadra praticamente salva e piena zeppa di suoi ex (Conte vice di De Canio, poi in ordine sparso Legrottaglie, Volpato, Mirante, Tudor, Paro), poi riceverà un Palermo senza più apparenti interessi di classifica e chiuderà a Reggio Calabria contro una squadra che probabilmente avrà solo da festeggiare la permanenza in serie A. Il tutto, come sanno a questo punto anche i sassi, partendo da più tre: onestamente, è una dote che può bastare. Meglio: è una dote che deve bastare. Perché, se così non fosse, ci sarebbe da mettere davvero sotto accusa la preparazione atletica di Massimo Neri, già così finito sotto i riflettori e non certo per meriti. Intendiamoci: la Juve vista fino a gennaio-inizio febbraio è stata una macchina da guerra (quasi) perfetta, ma da quel momento in avanti è diventata un'utilitaria come tante altre. La squadra, che pur ieri ha dato qualche importante cenno di risveglio, non corre più: cammina. Segna spesso e volentieri solo su calcio piazzato, fatica a tenere a bada avversari che hanno più birra nelle gambe, mostra segnali di cedimento in giocatori fino a ieri ritenuti intoccabili. L'Emerson visto ieri, per esempio, è giocatore normale, surclassato in qualche momento dalla verve di un onesto operaio del pallone come Mauri. Che fare allora, di qui in avanti? Mantenere la calma e stop. Recuperare Buffon (ieri, dopo lunghi conciliaboli, è infine emersa la versione secondo cui il portierone non ha giocato perché dolorante alla spalla sinistra: non quella operata ad agosto, quindi), centellinare lo stesso Emerson in settimana, motivare Ibrahimovic facendogli magari capire che il rinnovo del contratto arriverà davvero appena finito il campionato. Il resto è contorno: la spina dorsale della squadra è questa e da qui deve partire, se non la riscossa, almeno una sufficiente difesa della posizione. In caso contrario, apriti cielo. E rivoluzione alle porte. Perché sia chiaro che se la Juve non porterà a casa lo scudetto, sarà meglio prepararsi a un repulisti totale.

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