FAIR PLAY
A chi mi chiedeva o mi rimproverava per aver usato un'espressione britannica ho risposto e rispondo che purtroppo il «fair play», inteso come lealtà e correttezza sportiva, in Italia, nella lingua e nella realtà, non esiste. Trascuro, per mancanza di informazioni precise, il brutto episodio verificatosi domenica scorsa a Cagliari in margine alla partita Cagliari-Reggina. L'aspetto triste della vicenda è che frasi del tipo di quella che Tedesco avrebbe (sottolineo il condizionale) rivolto al suo collega-avversario Abejon non è una novità. Vera o non vera, pur rimanendo incivile, è purtroppo credibile. Essa appartiene, anche se il paragone può sembrare azzardato, allo stesso filone dei cori razzisti che ogni tanto si sentono nei nostri stadi, a Roma come a Verona. C'è purtroppo la tendenza, quando si vuole insultare, infastidire o soltanto danneggiare un avversario ad aggrapparsi alla circostanza più visibile (il colore della pelle). Nel caso Tedesco-Abejon non so se il giocatore della Reggina fosse a conoscenza di un problema della figlia del centrocampista uruguagio, ma non mi stupirei molto se così fosse. Sposto i termini del mio studio su un piano meno triste e più diffuso, il tifo contro. Me ne sono già occupato di sfuggita in uno spigolo a proposito di una frase rivolta dal conduttore di una rubrica tv ad un ragazzo italiano, Luppoli, che gioca nelle giovanili dell'Arsenal quando gli ha detto, nell'immediata vigilia della partita di Champions di martedì scorso «sarai probabilmente l'unico italiano che tiferà per l'Arsenal». Invece chiunque avesse assistito alla partita in un bar ed in ogni caso avesse avuto la possibilità di verificare le reazioni del telespettatori da parte di una platea superiore alle dieci unità avrebbe potuto vedere che almeno in cinque (la percentuale è per difetto) hanno esultato in occasioni delle due reti dell'Arsenal.In altre parole tutta l'Italia non juventina (proviamo ad azzardare un 55 per cento) è stata contenta che la Juventus abbia perduto. Il fenomeno molto diffuso del «tifo contro» è ormai uscito dai confini della sfide cittadine. Anni fa (1982) mi trovavo a Genova per commentare la finale di un torneo di tennis tra Ivan Lendl e Vitas Gerulaitis. Ad un certo punto, senza che il gioco lo giustificasse, s'è sentito un boato da stadio. Ho pensato che le radio avessero annunciato un gol del Genoa ma mi hanno subito chiarito che invece aveva subito un gol la Sampdoria. Poteva succedere a Roma, un po' meno a Milano, purtroppo oggi succede anche a Verona. A Torino, dove le differenze tra Juventus e Torino sono diventate eccessive, accade di meno. Oggi succede anche nei casi di alcune rivalità anomale per cui a Firenze, come a Roma sono molto contenti se perde la Juventus. Non mi pongo nemmeno la domanda se sia giusto o corretto ma so per certo che è così. Nel caso della Juventus il fenomeno è più diffuso e più palpabile tanto è vero che negli stessi bar, presi ad esempio, il gol-lampo del Villareal all'Inter non ha avuto la stessa trionfale accoglienza del primo gol dell'Arsenal. La spiegazione non sta solo nel fatto che, avendo la Juventus vinto molto di più, è più odiata del Milan e dell'Inter. Giusto o sbagliato che sia la Juventus è accusata di avere troppo spesso avuto favori arbitrali e di essere stata assolta con eccessiva generosità nel famoso processo per doping. Questo spiega perché la Juventus ha spezzato in due l'Italia del tifo calcistico. La fidanzata d'Italia è amata ed odiata quasi nella stessa misura ed il terzo polo praticamente non esiste ed è statisticamente irrilevante. Così è anche se non vi pare e se non vi piace.