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di DOMENICO LATAGLIATA PRAGELATO — La rivincita.

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Un bronzo che vale quanto un oro, e non solo perché il distacco dalla Russia vincitrice è stato solo di una decina di secondi. Il fatto è un altro: allo sci di fondo italiano in rosa non ne era finora andata una dritta e le accuse si erano sprecate. Altro che la vecchia teoria secondo cui i panni sporchi vanno lavati in casa: accuse pubbliche, risentimenti, ripicche e via così. Vale la pena fare un piccolo riassunto, riavvolgendo il nastro di sole 24 ore, quando Marco Albarello, ex grande atleta e ora direttore agonistico della squadra, si era domandato come mai avrebbero potuto fare le ragazze a vincere una medaglia. La Paruzzi — già campionessa olimpica e vincitrice di una Coppa del Mondo assoluta — reagiva piccata e non le aveva mandate a dire: «Sono alla mia quinta Olimpiade, è così strano che punti al podio? Se in Italia mancano atlete di vertice, bisogna comunque dare fiducia a chi scende in pista. Altrimenti non ne usciamo più, diventa un serpente che si mangia la coda». E la Valbusa: «Albarello? Non lo vediamo mai. Se avete bisogno di informazioni, chiedete direttamente a noi». Non male, come premessa. Poi succede che a Pragelato, in mezzo a neve e vento, le nostre si sentano in giornata, azzecchino sci e materiali, resistano nelle frazioni uno e tre con Follis (tecnica classica) e Confortola (libera), spingano con Paruzzi (classica) e Valbusa (libera), inseguano il sogno e lo acchiappino per la coda perdendo la volata per l'argento ma vincendo il bronzo. «Non ci credo, abbiamo fatto una gara incredibile. Questa è la ricompensa per i pochi che hanno creduto in noi», ha detto alla fine la Confortola. «Una felicità indescrivibile, avevamo troppa voglia di dimostrare quanto valiamo — ha aggiunto la Paruzzi, pronta a dare l'addio alle gare con la quinta medaglia olimpica al collo, lei che era la sola del quartetto ad averne mai vinta una — le cose sono girate bene dalla prima all'ultima frazione: è stata una giornata indimenticabile, un capolavoro che vale il primo posto di Lillehammer». E la Valbusa: «Ho tenuto duro, non so come ho fatto ma non potevo rovinare tutto quello che avevano fatto le mie compagne». Per la Follis, una soddisfazione se possibile ancora maggiore, piena di significati: nel 2001 il fratello Leonardo, azzurro di Coppa del Mondo di sci nordico, fu travolto e ucciso da una valanga. La neve, ieri, le ha regalato questa volta una soddisfazione enorme e i suoi occhi azzurri brillano come mai prima. Di fianco al gruppetto delle quattro ragazze di bronzo, il loro vero allenatore Gianfranco Pizio, una specie di papà buono ma al tempo stesso esigente, capace di stimolare, confortare e trasmettere grinta, rabbia, pazzia agonistica. La Paruzzi non lo molla più, lo abbraccia, lo stringe e scoppia a piangere pensando magari che, meglio di così, non avrebbe potuto chiudere: «Non si vive di passato, ma spero di aver dato un contributo importante al fondo e di lasciare un bel ricordo come persona e come atleta. Grazie allo sport sono cresciuta e maturata, è stata un'esperienza bellissima, ma non esiste soltanto lo sci. Dopo questi Giochi, saluterò tutti». Con un'altra medaglia al collo. Nella storia dello sci di fondo, la friulana, ci è entrata di diritto.

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