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Trentadue anni, padre di due figli ha vinto tutto E domenica a Cesana Pariol sarà ancora lui il grande favorito

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Dedica inusuale, per un introverso come lui. Ma quell'impresa sul catino tedesco di Koenigsee era degna di nota perché il Nostro si era messo alle spalle i rivali delle Olimpiadi: la promessa a stelle e strisce Tony Benshoof e il vecchio leone Georg Hackl. Domenica, a Cesana Pariol, Armin Zoeggeler sarà il favorito numero uno, l'uomo da battere, il padrone di casa cui togliere le chiavi dell'impianto e nascondergliele per un po'. «Ho ancora fame di vittorie», ha dichiarato più volte nel corso di questa stagione. Trentadue anni, padre di due figli (Nina e Thomas), Zoeggeler si diverte a sfrecciare a oltre 130 chilometri all'ora a pancia in su, sdraiato su un razzo che poggia su due pattini preparati dallo staff della Nazionale che è la Nasa di questo sport, sempre all' avanguardia nella scelta dei materiali. Lui, colui il quale avrebbe dovuto/potuto essere il portabandiera dell'Italia, è campione olimpico e mondiale in carica: ama mettersi alla prova sempre e comunque, il peso della responsabilità non gli pesa. Il suo curriculum è un inno alla perfezione: bronzo a Lillehammer '94, argento a Nagano '98, oro a Salt Lake City 2002. Gli americani, lo elessero tra i migliori atleti a cinque cerchi e il New York Times gli dedicò addirittura la copertina: «In quei giorni il mio ego era a mille», ha ammesso quasi vergognandosi un po' questo altoatesino che sul podio sventola sempre il tricolore ed è un mix di passione italiana e calcolo germanico. Uno che accetta che in Italia lo slittino passi in secondo piano («pazienza, è la mia passione, non potrei farne a meno»), ama la birra, la pasta e i viaggi ai Carabi. Da bambino, a Merano, si divertiva a battere i suoi amici arrivando a scuola prima di loro: in slitta. Saltava su quell'attrezzo e via, come un missile sulla neve. Non pensava certo, allora, di diventare un campione. «Era solo un divertimento, poi a 14 anni ho iniziato a fare sul serio e ho vinto subito in Coppa del Mondo juniores». Domenica, si spera, altro capitolo di una storia che è già leggenda in compagnia di rivali che un po' matti lo devono essere per davvero. Perché rimanere supini anche a 140 km/h, con i piedi a valle e l'unica frenata dopo il traguardo, non deve essere semplice davvero. Sport senza dubbio affascinante, lo slittino, un puzzle che si assembla. I pattini larghi sui 3 centimetri sono di leghe diverse e segrete, lo spionaggio è all'ordine del giorno e non esiste in pratica un attrezzo uguale all'altro. Anche quando provengono dalla stessa lastra, gli slittini danno prestazioni differenti a seconda che li ritagli dal cuore o dal bordo. Poi ci sono i copripattini, le panche che uniscono il pattino alla conchiglia, e la conchiglia vera e propria, di carbonio (più rigido) o fibra di vetro (più nervosa). Il costo? Per un normale mezzo da gara, 3-4 mila euro, per i bolidi olimpici non si sa: di sicuro, molto di più. La tecnologia si paga, anche se qui non sono presenti motori e ammennicoli vari: gli italiani sono seguiti dal Centro Studi del Coni, dagli ingegneri dell'università di Padova e dal Politecnico di Milano grazie al quale lavorano anche nella galleria del vento. Il tutto, per rendere veloce il più possibile un attrezzo di un metro e mezzo di lunghezza e 25 chili di peso, capace di toccare anche i 140 km/h che l'atleta deve guidare con movimenti quasi impercettibili, senza tirare su la testa per non creare frizione con l' aria e perdere così millesimi preziosi. Servono muscoli, equilibrio e freddezza, bicipiti impressionanti e reattivi, una preparazione fisica quasi maniacale e precisissima, una memoria da elefante: chi sta sullo slittino conta le curve e scende come potrebbe fare un non vedente. Roba da Grandi.

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