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di FRANCO MELLI SCAVALCATA la beffa-Stankovic, non senza rimorsi e rimpianti, fra poco la Lazio monitorizza ...

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E non dovrebbe risultare impossibile allungare l'elenco delle mortificazioni già subite dai rossoneri in questa stagione, anche se non va escluso qualche colpo di coda dei vice campioni d'Europa in carica, forse ancora in grado di rilanciarsi davanti agli antagonisti cui sovrintende Delio Rossi, sempre poco concreti e poco precisi nelle finalizzazioni. Ad Ancelotti, che forse avverte la malinconia dei cicli arrivati quasi a conclusione, resta la sola Champions League per salvare la propria panchina dopo gli addii di Maldini, Stam e Costacurta. Ma siamo nella sfera delle ipotesi che sconfinano addirittura nel miracolo, mentre adesso, dentro lo stadio Olimpico, brilla una verità inequivocabile: la squadra biancoceleste, sia in campionato che in coppa, è riuscita a mettere alle corde chiunque, perfino la Juve dei "cannibali", o l'Inter rinsavita di Roberto Mancini, cui hanno dato un decisivo aiuto arbitraggi sbadati tanto in campionato quanto giovedì scorso. Ne deriva la voglia irrefrenabile di riscuotere sul campo una vittoria compensativa per arrivare nei paraggi dei quartieri alti della classifica, visto che raramente capita di incrociare un Milan così sciamannato, soprattutto nel reparto difensivo, abbastanza jurassico, dove finora hanno trovato soddisfazioni pure incursori appena passabili, tipo Tiribocchi e Mariano Gonzales. Sognare di infliggere al Milan la sesta sconfitta in trasferta non è peccato di sfrenato ottimismo, senza dimenticare comunque i due recenti blitz riusciti alla compagnia-Schevchenko contro Livorno e Siena con nel mezzo l'addio allo scudetto imposto dai romanisti il 15 gennaio. Un crepuscolo lento sulla base dei riscontri precedenti, cui Delio Rossi presterà scrupolosa attenzione. Un andamento contraddittorio fatto apposta per castigare una squadra priva di furore agonistico e che ritenesse facile la prestazione di conquista o la passeggiata sulle rovine rossonere. Nossignori, la Lazio deve riprodurre i ritmi vertiginosi degli ultimi periodi, semplificando i compiti dei nuovi innesti accanto al radar di Liverani. Serve impedire al Milan di ragionare, di ribadire il solito possesso palla che prima o poi penalizzerebbe l'ultraquarantenne Ballotta. Stavolta mancheranno giusto Peruzzi e lo squalificato Siviglia, e va già di lusso pensando alle interminabili emergenze dei mesi scorsi, quando pareva inimmaginabile che il parsimonioso Lotito rafforzasse l'organico e s'adoperasse con passione per trattenere gli elementi più rappresentativi. Cosa che è puntualmente accaduta, mentre prende consistenza la sensazione che questa Lazio non abbia raccolto fin qui in proporzione alle benemerenze esibite. Verrebbe voglia di consigliare una visita in qualche abbazia affinché cambi il vento e sopraggiungano fluidi positivi. Intanto Behrami, riscattato appieno dal presidente, è riapparso dopo circa due mesi, e i tifosi tirano un sospiro di sollievo aspettando al più presto le sue formidabili prestazioni. Poi, bisogna supporre che Mauri e Bonanni possano prendere quota, nonostante gli impacci subito manifestati negli schemi vigenti. Ci vuole fede. Ci vuole la pazienza per non escludere l'ulteriore crescita della Lazio, ancora carente nel parco attaccanti e spesso destinata a vanificare l'enorme volume di gioco che sviluppa. Se può bastare, nel posticipo notturno, tornerà l'arrabbiato Di Canio, leader indiscusso di cui si intuiscono meglio le qualità tecniche e galvanizzanti quando non è fra i titolari di partenza. Non ci meraviglieremmo se toccasse a lui, ex milanista, trafiggere il diavolo rossonero. La gente pregusta quel momento per una festa memorabile. Ancelotti è memorabile.

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