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L'asso dei Los Angeles Lakers realizza 81 punti contro Toronto

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Seconda prestazione della storia

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«Quando lo vedevo da bambino non mi piaceva. Urlavo verso il televisore di toglierlo dal campo». Non è certo la presunzione quella che manca a Kobe Bryant, il bambino ormai diventato uomo, anche attraverso un percorso personale che lo ha visto un'aula di tribunale accusato, e poi assolto, di stupro. Oggi lui insegue, nei suoi Lakers, l'obiettivo di superare quella media di poco più 37 punti per partita che sono stati il record di quel Jordan di cui tanti volevano fosse l'erede. E per farlo Kobe ha scelto la strada più semplice. Mettere a segno valanghe di canestri. Quello che ha compiuto sul parquet amico di Los Angeles nell'ultimo turno contro i Raptors è già consegnato alla storia. 81 punti realizzati, seconda miglior prestazione della storia del basket professionistico, alle spalle solo quei 100 che mister Wilt Chamberlain, un pivot, è bene ricordarlo, mise a segno il 2 marzo 1962 vestendo la canotta di Philadelphia contro New York. Un altro basket, quello di allora, tanto da far pensare che questi 81 di oggi valgano molto di più. Ma tant'è. Bryant vola dritto dritto nell'Olimpo dei grandi, dove era già entrato quando, giovanissimo, quando aveva contribuito insieme a Shaquille O'Neal a riportare i Lakers ai fasti di una volta. «Sono quelle serate — ha detto Phil Jackson, il coach di LA — in cui osservi dalla panchina sapendo che sarai uno spettatore di un evento raccontare, come tutti gli altri». Spettatore di un evento eccezionale che regala delle cifre da capogiro. 28/46 dal campo (7/13 da tre punti), 18/20 ai liberi. «Non riuscivo nemmeno a sognare da bambino una performance così — ha detto Kobe quasi stupito — mi sembra incredibile». In una di quelle partite che resteranno scolpite nella testa dei 18997 presenti allo Staples Center per assistere ad un assolo unico. 122 i punti totali della sua squadra, contro i 104 dei canadesi, insomma le briciole lasciate ai compagni. Che hanno assecondato come meglio potevano lo sfolgorante talento di Bryant. Che forse nel silenzio dello spogliatoio, alla fine avrà pensato anche a Jordan. Guascone, lui dice oggi di non averlo mai amato. Ma lo sanno anche le pietre che negli otto anni trascorsi in Italia, da fanciullo, a seguire il papà Joe bucare le retine tricolori, si faceva arrivare dagli States le cassette di quel numero 23 dei Bulls che volava nell'aria. Metterli a confronto sarebbe delitto di lesa maestà. Jordan è leggenda, Kobe è oggi un pezzo di storia. E per cercare di arrivare ad emulare o superare MJ manca ancora molto. Come ad esempio un bel successo con la Nazionale. Ecco perché ha accettato di unirsi al gruppo di coach Kryziewsky per i prossimi Mondiali giapponesi. «Sono eccitato dall'idea di difendere i colori del mio paese. Sarà divertente, una nuova sfida». Dove dovrà dividere i riflettori con tante altre star, tra cui l'amico ritrovato, sembra abbiano fatto la pace, Shaquille O'Neal. Cui magari ricorderà i suoi 81 punti. Semprechè per allora non abbiano già lasciato il posto ad un nuovo incredibile record.

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