di LUIGI SALOMONE UNA vita da mediano.
Insieme. Il primo sta finendo il campionato di Clausura con il Racing, il secondo si sta dedicando alla sua terra come aveva più volte dichiarato nel corso della sua esperienza romana. «Con i miei trattori sarò felice», aveva detto ma ora Almeyda ha cambiato idea, vuole insegnare quel calcio che può rappresentare ancora il suo mondo. Un sodalizio che si annuncia molto interessante e che già fa sognare i tifosi laziali che sarebbero ben felice di vedere in panchina due uomini in grado sicuramente di dare la giusta carica alla squadra. Intanto il Cholo gioca ancora, ringhia sui polpacci avversari ma qualcosa è cambiato, si è accorto che la voglia non era più la solita e allora ha scelto di dire basta tra qualche mese. «Ho deciso di voltare pagina — spiega l'eroe dell'ultimo scudetto biancoceleste — e da giugno comincerò a pensare a questa nuova avventura che intraprenderò col mio amico Almeyda. Costruiremo uno staff insieme. Il nostro sogno? Allenare in Europa, magari la Lazio ma ora siamo all'inizio e dobbiamo frequentare i corsi a Buenos Aires. Voglio cominiciare subito col calcio che conta non mi vedo a dirigere squadre di giovani, ho fame di grandi partite seppure dalla panchina. Il modulo preferito? Una certezza già ce l'ho e cioé la difesa a quattro. Dall'esperienza che ho maturato da tanti anni nel mondo del calcio mi sono convinto che la base di partenza deve essere quella. Devo dire che ho imparato un po' da tutti gli allenatori avuti in Italia. Simoni era bravissimo, Eriksson un maestro nel saper gestire tutti i campioni che aveva a disposizione senza dimenticare Zoff che però ho avuto solo per un breve periodo». Tre anni fa andò all'Atletico Madrid nonostante un altro anno di contratto da oltre quattro miliardi delle vecchie lire a stagione con il club nel quale aveva giocato fino al 2003. «Ricordo quel periodo — spiega il Cholo — avevo notato che non c'era più fiducia in me e non volevo essere un peso. Non sono uno che ruba lo stipendio e quindi ho preferito andare da un'altra parte. Molti non la pensano così ma questo è il mio modo di intendere la vita». Inevitabile parlare un po' anche del passato, di quella squadra di campioni che a conti fatti ha vinto meno di quanto avrebbe potuto. «Ricordo sempre quel gol alla Juve che ci ha spalancato le porte verso lo scudetto. Ci abbiamo creduto fino all'ultimo e abbiamo conquistato il tricolore in quel magico pomeriggio di Lazio-Reggina con la partita di Perugia finita quando noi eravamo già da un pezzo negli spogliatoi». Una rincorsa straordinaria cominciata a Piacenza quando proprio il Cholo chiese a chi non se la sentiva di lottare di fare un passo indietro. Segnò anche contro gli emiliani ormai retrocessi come aveva fatto a Torino come farà poi contro il Venezia in casa e contro il Bologna nel giorno del gol beffa annullato a Cannavaro in Juve-Parma. «Fu una cavalcata straordinaria — ricorda il centrocampista del Racing Avellaneda — anche se a me resta il grande rammarico della "folle" notte di Valencia. Eravamo ai quarti di finale di Champions League e giocavamo contro una squadra che potevamo battere. Invece ne prendemmo cinque (5-2 il finale) e poi fu impossibile ribaltare il risultato all'Olimpico. Peccato perché potevamo fare di più, potevamo vincere quella coppa perché in quella stagione eravamo i più forti». Simeone passa e chiude. Si tuffa nelle ultime partite della sua carriera ma è già pronto a lanciare una nuova sfida: diventare un grande allenatore e un giorno presentarsi a Formello per guidare la «sua» Lazio.