Il ricordo degli anni passati nella Capitale offuscati dal triste capitolo della morte di Ancilotto. «Tornare? Non mi pongo il problema. Con Toti sono rimasto in ottimi rapporti»
Era il giugno del 1994 quando il piccolo domatore si presentò per la prima volta nella Capitale. «La mia unica filosofia è quella del lavoro» fu la frase pronunciata nella sala dei trofei del centro di Settebagni, cui seguirono i fatti. Sudore e cuore non mancarono mai alle squadre che l'accoppiata Corbelli-Natali gli mise a disposizione. «È quello che ho chiesto, chiedo e chiederò ai miei giocatori. Siamo dei privilegiati perchè il nostro lavoro non è certo quello di chi va in fabbrica o in miniera. Ed allora io chiedo il massimo a me stesso, ai miei collaboratori ed ai giocatori. Per rispetto di chi paga e ci vene a vedere». Oggi Caja siede sulla panchina di quella Roseto che questa sera per la quattordicesima giornata, confortata da due successi consecutivi, proverà a sbarrare la strada alla Virtus Roma di Pesic (ore 20.30, PalaLottimatica. Arbitri: Mattioli, Chiari, Longhi) in serie aperta di cinque vittorie. «Sono una squadra in salute, in crescita. Hanno qualità ed anche il carattere non difetta di certo. Basta guardare a come spesso hanno vinto partite in volata, addirittura ai supplementari». Ma la sua Roseto non vorrà fare la parte della comprimaria. «Assolutamente. Rispettiamo Roma ma sappiamo anche quali sono le nostre possibilità. Alleno una squadra giovane che sta cominciando a giocare il basket che a me piace». Che non è una novità per i tifosi romani. «Gli anni passano, uno può rivedere alcune cose, magari nella gestione del gruppo, ma le convinzioni tecniche restano quelle. Mi piace una pallacanestro aggressiva, fatti di difesa dura, contropiede. Cercheremo di giocare secondo le nostre caratteristiche». Magari con qualche accorgimento tattico. «Sappiamo che in qualche occasione la Virtus ha sofferto la zona. È normale che proveremo anche noi a farla». I ricordi tornano poi agli passati sulla panchina della squadra capitolina. «Bellissimi con talmente tante cose belle da ricordare che si fa fatica a stilare una classifica. Certo, vincemmo la Supercoppa nella stagione 2000-2001, ma quella vale come la conquista dei playoff del primo anno, quando nessuno ci dava credibilità. Siamo stati per tante stagioni una squadra rispettata che giocava una bella pallacanestro». Ma c'è anche una pagina buia. «Che non riesco a cancellare. È lì, in fondo al mio cuore. La morte di Ancilotto. Tante volte rivedo quella scena maledetta a Gubbio. Davide che mi passa accanto e mi chiede il cambio e poi s'accascia. E quei giorni terribili dopo che portarono alla sua tragica scomparsa». Nasce spontanea la curiosità di sapere se in futuro pensa che la sua strada e quella della Virtus possano ancora incrociarsi. «Non mi pongo la questione. Perchè ora sono concentrato su Roseto e nella Capitale c'è la famiglia Toti che ha un programma preciso. Sono rimasto in ottimi rapporti con il presidente. È un uomo eccezionale che ha dato tanto al basket capitolino. Sarebbe giusto che raccogliesse delle grandi soddisfazioni. Ha scelto Pesic che è uno dei tecnici più vincenti d'Europa e credo che si possa aprire un ciclo». Che magari, spera il piccolo domatore, si materializzi senza i due punti conquistati contro Roseto. «Sarebbe un'impresa, di quelle da raccontare. Ma ci proveremo, sapendo che per farlo dovremo dare il massimo ed anche di più». Cosa che le squadre di Caja hanno nel Dna.