Calcio in tv Il modello rimane l'America

Mi sia consentito ricordare come il tema di una più corretta distribuzione dei diritti TV sia stato affrontato fino alla noia in questa rubrica da almeno quattro o cinque anni. Mi ha probabilmente aiutato la conoscenza del mondo americano ma anche lo studio, attraverso il linguaggio sempre sincero dei numeri, della storia del nostro calcio. Mi chiedo dove erano coloro che oggi gridano allo scandalo ed invocano la cancellazione di una legge (quella varata dal governo D'Alema nel 1999) che ha stabilito come i diritti TV dovessero essere soggettivi quando è stato stabilito un principio che inevitabilmente avrebbe impedito lo sviluppo di un sistema più equilibrato e quindi migliore. Mi riferisco ai presidenti di quasi tutti i nostri club, quelli che si trovano esclusi dalla distribuzione della torta, ma anche alla maggior parte della critica che ha continuato ad occuparsi di mercato, ad annunciare trasferimenti mai realizzati senza preoccuparsi della bontà e della qualità del prodotto di cui quotidianamente doveva occuparsi. La generale miopia del nostro calcio è confermata dal fatto che non c'era bisogno del contratto Mediaset-Juve per capire quello che era ormai chiaro da alcuni anni. Che i soldi alla Juventus vengano garantiti da Mediaset piuttosto che da Telepiù e da Stream prima o da Sky oggi, è un problema che riguarda il sistema tv nel suo complesso e le aziende di Berlusconi o di Murdock in particolare. La qualità del prodotto calcio dovrebbe essere garantita dalla distribuzione delle risorse ed è fin troppo evidente che poiché certe differenze di carattere geografico, demografico e sociale non potranno mai essere eliminate: l'unico elemento di equilibrio andava cercato nei diritti TV. L'esempio l'ho inutilmente fatto fin troppe volte ed è quasi fastidioso che io continui a ripeterlo ma se Green Bay, città del Wisconsin di 85 mila abitanti può competere e battere New York, è perché dalla TV riceve gli stessi soldi. Se invece la Juve incassa alla stessa voce dieci volte di più dell'Empoli equivale a far combattere un peso massimo contro un peso mosca. Tuttavia proprio l'ormai consolidata mancanza di equilibrio del nostro campionato suggerisce una semplice considerazione commerciale secondo la quale, in termini di interesse sportivo e televisivo, Juve-Empoli vale molto meno di Empoli-Juve. È quello che non hanno mai capito i presidenti dei club medi e piccoli, la cui presenza è necessaria al nostro calcio non meno di quella dei grandi club a meno di non ipotizzare un grande campionato europeo che non si realizzerà mai in quanto esiste già, sia pure nella forma della Champions. È evidente che in una congiuntura in cui la Camera, il Senato ed il governo pensano soprattutto alle prossime elezioni, il problema dei diritti tv, per quanto fondamentale per il calcio, non potrà mai ottenere attenzione. La colpa della nostra classe politica ma soprattutto dei protagonisti dell'industria calcio è stata quella di avere consentito che la situazione arrivasse a questo punto e di avere avuto bisogno di un contratto che nella sostanza non cambia l'iniquo rapporto dei valori economici per rendersene conto.