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di AUGUSTO FRASCA NON è la recensione di un libro, dunque di un romanzo, di un saggio, di una scrittura qualsiasi.

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260 pagine in cui si sommano storie ed imprese, uomini e celebrità, emozioni e ricordi. Calcio ed atletica, pugilato e ciclismo, tennis ed ippica, sci ed automobilismo, Carnera e Pelé, Benvenuti e Coppi, Thoeni e Bearzot, Bartali e Riva, Loi e Mazzinghi, uno dietro l'altro, vincitori e vinti, apoteosi e cadute, miserie e grandezze. L'elogio di una rovesciata, il volo verso il silenzio di Roquepine, la perfezione di Luisito Suarez, l'ippogrifo Ribot, Lauda e la rivincita dell'uomo, l'estasi di Tardelli, la «divinità» di Falcao, le degenerazioni dello sport, Napoli liberata da uno scudetto, Pietro Mennea ultimo dei bianchi, l'illuminismo di Platini, Alì ed il mito riedificato, le due Italie di Bartali e Coppi, la colpa mai perdonata della Corea, Maradona e Beckenbauer sedici anni dopo, i drammi di Gaetano Scirea e Gigi Meroni. Dalla prima all'ultima pagina, filo rosso ininterrotto di una carriera professionale di lunghissimo corso, l'atto iniziale, intimo, lacerante, insulto mai composto, di un ragazzo di 11 anni che apprende la morte del padre dall'algida ottusità di un usciere di redazione. Renato Tosatti, giornalista, padre di Giorgio, fu tra i trentuno schiantatisi su quella collina di Superga che sulle ali spezzate di un G 122 si portò dietro le lacrime di mezza Italia, un'Italia incollata corpo ed anima alle maglie granata del Grande Torino. In ognuno dei 248 ritratti, mai una flessione, mai una perdita di verità tra ragione e sentimento. L'antologia, «Tu chiamale, se vuoi, emozioni», uomini e sfide in 40 anni di sport, evocante una delle magistrali operazioni musicali prodotte a quattro mani da Lucio Battisti e da Mogol. Mondadori, 16 euro.

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