GRANDANGOLO

Una frangia della tifoseria prosegue nella contestazione che culminerà oggi pomeriggio nell'occupazione della curva nord con un quarto d'ora di ritardo rispetto all'inizio dell'assalto al Siena. Lo sciopero intende inquietare sempre più Claudio Lotito, certamente il presidente più avversato della storia laziale, nonostante vanti precisi meriti nel resuscitare un club quasi in coma irreversibile. Soprattutto gli ultras deplorano i suoi programmi ispirati alla più soffocante parsimonia e non vogliono riconoscerne il ruolo di guida del popolo biancoceleste. Ma intanto siamo arrivati alla quattordicesima giornata senza ricavare nessun momento d'armonia dalla posizione decorosa di centro classifica, addirittura appaiati alla Roma dei pazzeschi costi di gestione. E con la possibilità di sopravanzarla tra poco, ammesso che i ragazzi di Spalletti non vincano a Lecce e qui prosegua il filone fortunato davanti alle squadre toscane, iniziato con la vittoria all'Olimpico sulla Fiorentina e proseguito una settimana fa a Empoli. I laziali esigono di recuperare l'aristocrazia perduta; Lotito risponde imponendo una gestione proletaria dove bisogna abbondare solo nello spirito di sacrificio. Quello fra i tifosi ribelli e il presidente si è trasformato nel corso di pochi mesi in un dialogo fra sordi. Forse non si sono mai piaciuti, una parte del pubblico e il tuttologo romano, però non si capisce perché il tormentone debba continuare senza soluzione di continuità e senza un vantaggioso chiarimento fra le parti. Tocca allora alla squadra alleggerire le tensioni, trovando una continuità che lasci intravedere orizzonti europei qualora si riuscisse ad entrare in zona Uefa. Che resterebbe un traguardo significativo per un club che ha ridotto ai minimi termini tanto le uscite di cassa quanto i viaggi all'estero. Lotito dovrà comunque allargare presto i cordoni della borsa: Liverani, Cesar, Dabo e Behrami fanno parte della spina dorsale di una rosa che ha un punto in più del Palermo del ricco Zamparini, e rallentare i tempi dei loro rinnovi contrattuali appare come un clamoroso harakiri. Perché il tifoso, se gli si parla in politichese, si ribella. Perché aspetta almeno Di Biagio, Castellini e Marchionni fra i rinforzi promessi, e non vuole rischiare l'addio di chi finora ha salvato la baracca, inalberando una lazialità spesso impreziosita da comportamenti esemplari. Come nell'ultimo appuntamento fuori casa, dove Delio Rossi ha firmato la prestazione stagionale più bella del suo collettivo per guarire finalmente dal mal di trasferta. Ne deriva la logica speranza di superare sullo slancio pure il Siena degli ex Chiesa, Colonnese e Negro, senza trovare improvvisamente uno stadio Olimpico ridotto a terra straniera. Sarebbe una beffa clamorosa, vista la media scudetto che Liverani e gli altri hanno sfoderato sul loro campo con 14 punti accumulati sui 18 in palio. Tuttavia il football è un perdurante mistero agonistico, con capovolgimenti inspiegabili delle realtà più collegate, e il Siena, grossomodo, è la stessa squadra che punì i romanisti con un blitz clamoroso, approfittando dei loro sbilanciamenti al "rischiatutto". Errore che non deve commettere la Lazio, rammendata causa le pesanti assenze di Oddo, Rocchi e Firmani, prescindendo dai guai muscolari del portiere Sereni. Serve un coraggio ragionato, non il furore dissennato di chi per vincere a tutti i costi rischia a più riprese di soccombere. I bianconeri sono avversario camaleontico, cui serve innalzare un bunker per frenare la crisi, e per salvare la panchina di De Canio, oltre alla sua imbattibilità nei confronti di Delio Rossi. Così si passa all'inedito tandem offensivo Di Canio-Tare, senza sapere bene in che misura funzioneranno accordati e se potranno scardinare le barricate di questa compagine ispida e con i reparti ben collegati, cui l'intramontabile Chiesa garantisce spesso finalizzazioni preziose in contropiede. Però i fluidi stavolta sono dalla parte della Laz