di RINO TOMMASI IL tema è delicato anche perché la nostra cultura e le nostre abitudini ...
Sull'argomento mi esprimo con molta cautela e senza la convinzione che, a torto od a ragione, mi sostiene su problemi esclusivamente sportivi e sui quali ritengo, con un po' di presunzione, di avere titolo per un'opinione. Il mio parere è che l'argomento del razzismo sia solo un'arma in più a disposizione dell'ignoranza e della faziosità nella quale gli italiani purtroppo si distinguono. Avendo viaggiato molto ho potuto verificare il grado di educazione sportiva di tanti paesi. Gli inglesi sono fastidiosamente snob, credono di avere inventato lo sport (in alcune discipline hanno ragione) ma se non si fanno confondere dall'alcol sono fondamentalmente corretti. Lo sono, ad esempio, più dei francesi che ci obbligano spesso a ricordare di quale nazionalità fosse Monsieur Chauvin, non a caso entrato ormai nel linguaggio internazionale per indicare la mancanza di obiettività. E' quasi banale osservare che gli scandinavi, in linea generale, sono migliori anche se dalle loro parti l'alcol produce qualche danno. Lo stesso discorso varrebbe per gli americani che però pagano un pesante e visibile tributo al razzismo, quello autentico, un problema dal quale, malgrado i molti progressi, non si sono mai liberati. Sono onesti, accettano una sconfitta (in tutta la storia dello sport americano non c'è stato un incontro sospeso per invasione di campo) ma sul colore della pelle sono ancora molto lontani dalla sufficienza. Nel 1938 gli americani bianchi speravano che il tedesco Max Schmeling battesse il nero Joe Louis, molto più recentemente, nel 1982, ho visto personalmente piangere degli spettatori perché il nero Larry Holmes aveva messo k.o. il bianco Gerry Cooney. Noi abbiano l'alibi di essere latini ma per non sentirci gli ultimi dobbiamo riferirci ai sud-americani. Nella storia del nostro sport c'è purtroppo un'ampia casistica che spazia dalle intemperanze del pubblico (l'ultimo episodio a Firenze giovedì sera) ai piccoli imbrogli di dirigenti. Il salto di Evangelisti ai mondiali del 1987 è probabilmente la pagina più triste e vergognosa ma non è l'unica come non lo è la triste vicenda che ha portato il Genoa in serie C.. L'ho presa alla larga per arrivare a dire che, almeno a mio parere, i volgari insulti che da Verona a Messina vengono rivolti ai giocatori di colore, non hanno alcun rapporto con il razzismo. C'è alla base il desiderio di provocare, di innervosire e di danneggiare l'avversario, e se capita che questi è nero ecco che l'insulto è a portata di mano per chi, oltre ad avere poca cultura, ha anche poca fantasia. Temo che la decisione di ritardare di cinque minuti l'inizio delle partite sia un provvedimento inutile e demagogico, il desiderio da parte di qualcuno di voler comunque dare un segnale. La verità è che purtroppo lo sport, che pure ha valori importanti, non si sottrae al degrado morale che ci circonda e contro il quale è sempre più difficile difendersi.