Il calcio sta con l'«uomo nero»
E magari il fratello di Zoro potrebbe leggere loro alcuni capitoli del «Libro della giungla» di Kipling, da cui si impara che molti giaguari, molte iene e molte scimmie hanno spesso più sensibilità di certi turisti bianchi, malati di snobismo. Non ho nessuna voglia di premere l'acceleratore della rampogna: la stupidità va studiata come certe malattie della pelle o della mente. Se è il caso, vale la pena di fare una colletta in tivù perché scienziati volenterosi trovino una cura, un antidoto, un qualche unguento che possa rendere gli imbecilli meno nocivi. Ora capisco che i dirigenti della Federcalcio non sappiano trovare le parole giuste per deplorare come merita la malinconica esibizione dei tifosi del Nord. Mi auguro che, tornando a casa, nella loro comoda e ben riscaldata magione lombarda, abbiano ricevuto la lezione che meritano dalle loro madri. Anche se un dubbio fastidioso mi accerchia: esistono ancora quelle madri d'antan, capaci di prendere a ceffoni i figli grandicelli che si comportano con la incoscienza dei poppanti pasticcioni e incontinenti? Ho visto MarcO André in televisione, che a un certo punto ha afferrato il pallone come fosse un cocco, e rivolto all'arbitro gli ha chiesto a muso duro: «Scusi, signor referee (André parla bene inglese): non crede che questo pubblico stia esagerando?» Dopo di che, posato il cocco (pardon, la palla) a terra, ha imboccato la via degli spogliatoi. Per fortuna quel bravo figlio di Adriano, che è l'idolo dell'Inter ed è un po' meno abbronzato di lui, ha supplicato André di non fare drammi e di perdonare quei figli di Zebedeo «perché non sanno quel che si fanno». A questo punto André ha riflettuto, e siccome ha letto e meditato il Vangelo, alla fine è tornato a giocare. Che figura, ragazzi. E quei giovani venivano pure dall'evoluto Nord, probabilmente portavano scarpe e giubbotti firmati e avevano la rotonda paghetta del weekend come ogni figlio bennato. Mi auguro che almeno uno di loro - mi basta uno solo - sia arrossito come Dio comanda e si sia coperto la faccia con le mani. Al di là di ogni reprimenda retorica, a me è molto piaciuta la vignetta di Vincino, sul «Corriere della sera». Sopra la sagoma del calciatore con la sfera in mano, c'è questa scritta laconica con tanto di rima: «Zoro - contro i cori razzisti si fermò - e con dignità la "palla bianca" bloccò». Ciao Marco André, ti sono vicino. Tieni nota che, malgrado tutto, un leggero miglioramento c'è stato nell'alluvione della criminalità imbecille. Do you remember le ragazze nere che non potevano nemmeno salire sugli autobus di Dallas, Phoenix e Kansas City? In ogni caso, da oggi, ti chiameremo non più Zoro, ma Zorro.