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Rocchi e Tare alla ricerca della ricetta perduta

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Squadra ingannevole, la Sampdoria, virtuale quinta forza del campionato, che brilla e soccombe con la stessa disinvoltura, salvo suscitare spesso la sensazione di possedere un potenziale non completamente valorizzato. Gli esempi sono numerosi, dal pareggio interno con il Siena al blitz sontuoso a Palermo, dall'assalto senza troppa fortuna all'Inter alle sconfitte un po' romanzesche di Firenze e Ascoli. E' allora impossibile ricavare riscontri affidabili dalle lezioni che Delio Rossi avrà impartito ai suoi ragazzi, sempre più assillati dalla necessità di improvvisare una prestazione calibrata e nello stesso tempo coraggiosa, senza le amnesie e le paure pagate a caro prezzo soprattutto a Reggio Calabria. Formazione solida e aperta, quella ligure, che fa giocare l'avversario, che subisce molto in casa (10 reti), ma che segna altrettanto (11): sulla carta, le modalità di gioco doriane possono rappresentare un bene per i dipendenti di Formello, che non raccolgono i tre punti lontano dall'Olimpico dalla trasferta di Bologna dello scorso anno, quando vinsero 2 a 1 al Dall'Ara. E dire che lontano da casa quest'anno ha vinto perfino il Treviso, e i biancocelesti- nessuna vittoria esterna - si ritrovano nell'identica situazione di Parma, Reggina, Ascoli, Cagliari e Lecce, defilate dalle zone rassicuranti della classifica e le cui sofferenze rimarranno ineludibili fino all'ultimo momento. Invece la Lazio, stretta fra due destini opposti, non ha ancora trovato la ricetta per uniformare il proprio rendimento alle soddisfazioni che ottiene sotto le pendici di Monte Mario, o almeno per non vanificare ogni volta la migliore metà di se stessa. Siamo alla vigilia del sesto tentativo, considerati pure i pareggi non proprio squillanti ricavati a Cagliari e nel derby, e funzionare a Genova significherebbe quasi affrancarsi da questo mal di trasferta inspiegabile, nonostante le numerose diagnosi (mancanza di personalità, paura di volare, bisogno del pubblico amico) che vengono via via dedicate alla sindrome. Per Delio Rossi, primo erede della cultura sacchiana, è un maledetto puzzle. Non vede l'ora di venirne fuori, in qualsiasi modo, per ricordare che i suoi sistemi pedagogici, orientati sulla costruzione del gioco, possono raccogliere frutti un po' ovunque. Tuttavia siamo sempre nella sfera delle intenzioni, come noteranno quelli più attenti alle cronache biancocelesti, e stavolta esiste pure la realtà di una compagine uso esterno parecchio rammendata, soprattutto causa le assenze di Firmani e Liverani in mezzo al campo. Ne deriva l'obbligo di raschiare il barile, con la possibile scelta di presentare Zauri accanto al superstite Dabo, proponendo Belleri sulla corsia esterna. O, ipotesi meno gettonata, dare fiducia all'intermittente Baronio, il cui rilancio è atteso da tempo immemorabile. Scarseggiano quindi i presupposti per una improvvisa botta di vita, anche se per fede manifesta è insopprimibile la voglia di pronosticare l'assalto vincente. Seguono le notizie consolanti: in porta dovrebbe rientrare Sereni, nonostante Peruzzi, smaltiti gli acciacchi, si rimetta a disposizione dell'allenatore. Che deve egualmente valutare le condizioni psicofisiche di Behrami, quattrocentista-goleador della provvidenza per la Svizzera, e comunque un po' stralunato dalle fatiche e dai festeggiamenti della sua nazionale dopo l'acquisita qualificazione ai Mondiali. Lui è l'unico valore accertato fra gli acquisti inutilizzabili o deludenti di Claudio Lotito: Mudingavy, Piccolo, Giallombardo, Keller, Stendardo, Belleri e Tare, torre albanese che dovrebbe finalmente uscire dall'anonimato per affiancare fra poco Rocchi. Preferenza plausibile, a nostro avviso, visto il problematico inserimento di Simone Inzaghi e l'avversione al gol di Paolo Di Canio, che firmò a

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