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Il mondo dello sport fatica a convivere con la globalizzazione

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Si sono spalancate le frontiere e c'è il timore, soprattutto in alcune discipline, di perdere identità, senza considerare i problemi delle rappresentative nazionali. Al Coni si sono finalmente preoccupati ma stanno anche verificando le difficoltà di porre limiti e nuove regole, difficili da applicare dopo anni di allegre ed eccessive importazioni. Il basket ha certamente esagerato ma non vuole tornare indietro al punto che si parla addirittura di secessione perché i club non vogliono saperne di adeguarsi alle norme che la Federazione, su sollecitazione del Coni, vorrebbe applicare. Sarebbe una situazione nuova perché non si è mai verificato lo svolgimento di un campionato, non importa di quale disciplina, che si disputi al di fuori della giurisdizione del Coni, deputato nel nostro paese, a controllare tutta l'attività sportiva. Il problema minaccia poi di assumere proporzioni ancora più vaste e preoccupanti se si passa al calcio. Il caso più clamoroso è quello dell'Inter che, probabilmente per tener fede al suo nome, in questo campionato ha finora schierato solo quattro giocatori italiani (Materazzi, Favalli, Toldo e Cristiano Zanetti) su 23. La percentuale è minima se si considera che Toldo ha giocato una sola partita. Il problema è complesso perché non si tratta soltanto di stabilire quote numeriche ma anche qualitative. Nel basket, ad esempio, una squadra può mettere a referto dieci giocatori, cinque italiani e cinque stranieri, ma poi può succedere che gli stranieri giochino il 90 per cento del tempo disponibile. Lo stesso potrebbe avvenire per il calcio ed anche per il rugby, i cui problemi hanno minore visibilità ma forse implicazioni ancora più importanti per quanto riguarda la rappresentava nazionale. I tempi che cambiano hanno trovato impreparati molti addetti ai lavori. I nostri club calcistici, ad esempio, si stanno rendendo conto delle conseguenze delle norme che hanno stabilito i rapporti contrattuali con i giocatori. La vicenda Iaquinta , apparentemente risolta, a quella di Cassano, della quale non si vede la conclusione, hanno proposto situazioni piuttosto imbarazzanti. Approfitto per esprimere sulla questione Cassano un parere molto personale. Credo che la Roma sia perfettamente a posto sul piano regolamentare perché paga al giocatore lo stipendio e gli consente di allenarsi. Le convocazioni e l'utilizzazione in partite ufficiali sono questioni ovviamente riservate all'allenatore e protette da valutazioni di ordine tecnico sulle quali il sindacato giocatori non dovrebbe avere diritto d'ingresso. Se tutti i giocatori che hanno un contratto pretendessero di giocare bisognerebbe che una squadra potesse schierare 22 giocatori e non undici. Se la Roma sembra perfettamente in regola sul piano formale, c'è però un aspetto che non si può trascurare. Non ho prove per sostenere quella che è la mia personale ma solida convinzione ma penso che se non ci fosse stato il problema del contratto Cassano avrebbe giocato di più, in termini di partite e di minuti, in questo campionato. E questo non mi sembra giusto, non soltanto nell'interesse della Roma o del giocatore, ma in quello più generale del calcio.

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