di COSTANZA FERRI «Ad Empoli abbiamo toccato il fondo, ma siamo stati bravi ad uscirne.
Ma il primo a prendersi le colpe è il sottoscritto». Parole di Luciano Spalletti. Parole che lasciano capire che tipo di personaggio sia l'allenatore della Roma. Uno che non ha problemi a metterci la faccia, ad assumersi le responsabilità. A volte lo fa anche quando non dovrebbe, quasi fosse lui il parafulmine più adatto a coprire gli errori della squadra o dei singoli. Ha strigliato Dacourt e Nonda, ma poi ha dichiarato di aver sbagliato nei modi. Eppure è sempre lo stesso che al termine della gara con l'Ascoli è andato ad abbracciare uno per uno i suoi giocatori per ringraziarli dei tre punti. Dopo quattro mesi di lavoro con i giallorossi, il tecnico toscano traccia un nuovo bilancio. Lo aveva fatto anche in precedenza, quando i risultati tardavano ad arrivare, lo fa ora con la serenità che solo le vittorie ti possono dare. Eppure è sempre equilibrato. Ha trovato il punto da cui la sua Roma è ripartita, senza mai perdersi d'animo. «La sconfitta di Empoli è stata veramente brutta ed io non sono esente da colpe. Sono il primo ad ammettere che è anche per demeriti miei se le cose non sono andate per il verso giusto. ammetto i miei errori, come spesso fa Capello». A dirla tutta i suoi atteggiamenti sembrano molto diversi da quelli del tecnico friulano. «Dopo un inizio positivo con la Reggina — continua il tecnico ospite della trasmissione «Fuori Zona» su Sky — alla prima di campionato, ho creato nella squadra una certa confusione. Invece di farla esercitare al meglio ed allenarla su uno stesso modulo, ho provato prima uno schieramento, poi un altro e così i giocatori non hanno potuto assimilare al meglio gli insegnamenti. Avrei dovuto proseguire come eravamo partiti». Invece i giallorossi hanno faticato, hanno perso la propria identità deludendo le attese di inizio stagione. Qualcuno ha anche paragonato l'era Spalletti a quella dei numerosi allenatori che lo hanno preceduto, ma per sua fortuna è arrivata l'inversione di tendenza che ha fatto tornare il sorriso a squadra, società e staff tecnico. Dalla trasferta toscana la Roma è tornata con la consapevolezza di dover cambiare in fretta qualcosa per non ripetere gli errori del passato. Il tecnico ha parlato a lungo con i suoi, hanno analizzato insieme il modo più adatto per risollevarsi. Un faccia a faccia che è servito e che ha dato i suoi frutti. Già in Coppa Uefa i giallorossi avevano dimostrato segnali di ripresa, che sono proseguiti nel derby e sono diventati una realtà nella bella e sofferta vittoria con l'Inter. Il bis con l'Ascoli è stato il giusto coronamento di un ciclo positivo. «Abbiamo dimostrato di essere cresciuti e di riuscire a stare bene in campo. Se la squadra è riuscita a prescindere da Totti, significa che ha acquistato una certa mentalità». Si è goduto anche lui i due giorni di riposo. «Ho passato un pò di tempo con i miei figli e finalmente, dopo quindici giorni sono tornato a dormire». Ha ritrovato il sorriso anche se sa di non avere fatto ancora nulla di speciale. «Ora le cose stanno andando bene, anche se bisogna migliorare certi atteggiamenti e alcune situazioni. Il nostro è un lavoro che vive di risultati, quando non ci sono è sempre difficile affrontare i momenti negativi». L'ultima parola è su Tommasi. «Se l'ho mandato in campo è perché ero convinto che potesse dare il suo contributo. Un giocatore come lui non lo devo portare ad esempio per il contratto che ha, ma per il modo in cui si allena ogni giorno e per la voglia che dimostra».