Il cambio d'allenatore è un vizio eterno dei nostri presidenti
Apro una piccola parentesi per spiegare perché non ho inserito nel mio elenco il prezzo dei biglietti, argomento molto popolare e demagogico, ma che a mio personale e quindi discutibile parere non è certamente in prima linea per spiegare la sempre più preoccupante fuga dagli stadi. In dieci intensi anni di attività organizzativa a Roma mi sono trovato molte volte ad affrontare una importante equazione, stabilire il prezzo dei biglietti per le riunioni pugilistiche che avevano fatto diventare Roma la capitale del pugilato europeo. Altri tempi, altra boxe, altri pugili ma ho capito che il prezzo è un aspetto secondario: conta la qualità dallo spettacolo che però, nel caso del calcio, bisogna sostituire con la qualità del risultato. Perchè il calcio è un mondo a parte ed il tifoso preferisce vedere una brutta partita, vincere per 1 a 0 con un rigore inesistente che perdere per 5 a 4 una partita esaltante. Nel pugilato c'è istintivamente, da parte del tifoso o dello spettatore in genere, una maggiore onestà. Mai sentito fischiare un arbitro che commette un errore a favore della propria squadra, ho visto molte volte contestare un verdetto favorevole al pugile di casa che non lo aveva meritato. Mi sono accorto di essere uscito di strada perché l'argomento che volevo trattare era il cambio di allenatore. Me lo propongono i molti titoli dei giornali che mettono in dubbio o in discussione il futuro di Roberto Mancini come allenatore dell'Inter. L'Inter ed il suo presidente, Massimo Moratti, hanno una lunga storia. Mi dice Beppe Bergomi che se qualche anno fa la sua società non avesse licenziato Simoni entrando in una spirale che ha portato sulla stessa panchina, in frenetica successione Hodgson, Lucescu e Castellini, l'Inter, nella peggiore delle ipotesi si sarebbe classificata al secondo o al terzo posto, invece concluse il campionato in ottava posizione. Aggiungo io che se l'anno scorso la Roma ed il suo ambiente non avessero costretto Del Neri ad andarsene la squadra si sarebbe salvata più facilmente. Il virus del cambio allenatore è talmente entrato nel calcio italiano che l'idea di un eventuale licenziamento di Mancini finisce sui giornali e nelle discussioni da bar prima ancora di entrare, eventualmente, nella testa di Moratti. È fin troppo evidente che, senza voler valutare il lavoro di Mancini, una sua sostituzione non consentirebbe all'Inter di diventare più forte mentre appesantirebbe inutilmente il bilancio economico del club. Io non escludo che se l'Inter dovesse perdere tre partite di fila, Mancini possa essere esonerato ma credo che sarebbe un clamoroso errore come lo sono quasi sempre stati, in altissima percentuale, i cambi di allenatore nella lunga storia del calcio italiano. Nei 73 campionati a girone unico che sono già andati in archivio ci sono stati 441 cambi di allenatore su un totale di 1269 partecipazioni al campionato di serie A con una percentuale del 34,7 per cento. Questo vuol dire che un allenatore ha una probabilità su tre di non concludere un campionato sulla stessa panchina sulla quale lo ha iniziato. È vero che il rischio viene lautamente compensato (è stato Helenio Herrera a far scattare gli stipendi dei tecnici) ma non è una buona immagine (mentre è una cattiva abitudine) del nostro calcio.