Camoranesi: «Questo gruppo somiglia alla mia Juve»

Non solo per la tendenza a parlar poco e metter tanta cattiveria agonistica in campo, anche a costo di apparire antipatici. «L'operazione simpatia? E cosa sarebbe?», ha ammesso candido il centrocampista italo-argentino, sempre restio a presentarsi in conferenza, ma per l'occasione addirittura seduto in aula Magna. Colpa della perdurante assenza dei big, più che merito di un'improvvisata brillantezza dialettica. «Per me non c'è bisogno di fare pubblicità a questa nazionale: al Mondiale la gente verrà. E scusate l'ignoranza, se non so cosa sia quest'operazione...». Né Camoranesi sembra preoccupato di apparire meno scorbutico di quel che gli si attribuisce. «Non vengo spesso in conferenza perché non mi sento a mio agio a rispondere alle domande. Preferisco giocare - la sua confessione - I miei compagni? Stop, non li attaccate: sarà così anche per loro, e poi alle volte certe domande...». Spirito Juve, appunto. «Questa nazionale assomiglia alla mia squadra di club: ha la mentalità vincente, un gruppo consistente di giocatori bianconeri, e poi un tecnico di stampo Juve», spiega Camoranesi. E presto potrebbe aggiungere un'altra pedina in difesa. «Blasi terzino è una forza della natura, e un'opportunità in più: se non si vede nel ruolo lo capisco, è un centrocampista. Ma alle volte bisogna adattarsi». La riconoscenza di Camoranesi per Trapattoni è intatta («è stato lui il primo a darmi fiducia»), ma il confronto con il passato porta a considerazioni nette sulla nazionale: «Quest'Italia è una squadra dei piedi buoni, e mi sta bene: ma soprattutto prima si pensava troppo all'avversario...». E allora, via con gli altri assiomi del credo juventinazzurro: le partite da affrontare una per volta, l'impegno da mantener costante, il Mondiale che è troppo lontano per cominciare a sognare. Monotono, ma evidentemente per vincere si fa così. «Al torneo di Germania davvero non riesco a pensare ora - prosegue il centrocampista - Mancano otto mesi, tutto può succedere. E prima ho tre competizioni da vincere: il successo più importante sarebbe la Champions. Arrivare almeno in finale vorrebbe dire una rivincita sulla sconfitta con il Milan; da quattro anni sulla carta dobbiamo vincerla, e poi...Però non è un chiodo fisso per noi giocatori. Io dico sempre che alla fine, coppa Italia, campionato o Champions, è sempre la stessa cosa: una partita di calcio». Anche il mondiale? «No, lì di diverso c'è che ti giochi tutto in tre partite: se sbagli un'inezia, sei fuori. Per me sarà il primo, vediamo...». Dipenderà da come ci si arriva, in una stagione da sessanta partite. «Il primo anno di Juve ho sofferto molto giocare domenica e mercoledì senza interruzioni: ora ci sono abituato, l'unico aspetto pesante sono i ritiri. Ma non mi permetto di dar consigli all'olandese». Alla Juve, non si usa.