Salto d'addio
Fiona si ferma a Eboli Futuro da attrice in tv
L'accostamento letterario s'alimenta di blasfema, imperdonabile retorica, ma è fatale scrivere che Fiona May si ferma ad Eboli, oggi pomeriggio, per l'ultima comparsa su una pedana che le ha procurato immense soddisfazioni ed offerto alle telecamere memorabili sfoghi. Era diventata italiana in forza d'amore e di matrimonio, mai patendo nostalgia per la guida a sinistra e per il pudding di Slough. «Mai, in Inghilterra, in sette anni di presenza in nazionale, mai che io abbia sentito gridare, nella lingua locale, forza Fiona!». La ragazza, l'atleta, la donna, veniva trasferendo sui campi di gara la fisicità d'una piccola isola delle grandi Antille, tesoro immenso di risorse atletiche, aperte alla conoscenza del mondo occidentale con le prime apparizioni ai Giochi di Londra del 1948, successivamente eternate quattro dopo ad Helsinki da fenomeni della corsa a nome Herbert Mc Kinley, Arthur Wint, George Rhoden, Leslie Lang. Non si può avere tutto dalla vita, e Fiona soffriva di quella velocità di base che avrebbe potuto sollevare le sue chilometriche leve inferiori sulla soglia dei sette metri e cinquanta. Con l'eccezione di Sara Simeoni, lascia tuttavia alle spalle un patrimonio agonistico mai realizzato da altre atlete italiane, inserendo di forza il proprio nome nella più dorata delle classifiche della disciplina atletica nazionale, insieme con Ondina Valla, Claudia Testoni, Paola Pigni, Gabriella Dorio. A Fiona May è mancata la massima consacrazione, la vittoria olimpica. Ne venne privata d'una inezia in due occasioni. Nel 1996, ad Atlanta, quando venne preceduta in classifica da una nigeriana, ex titolare della nazionale di calcio del proprio paese, presente in tale veste ai campionati mondiali femminili del 1991, ed appena uscita da una squalifica di quattro anni dopo essere stata trovata imbottita di anabolizzanti. Un salto di 7.02 non fu sufficiente all'italiana per metterla al riparo dalle insidie sospette di Chioma Ajunwa. Nel 2000, a Sydney, Fiona May trovò sulla sua strada due fuoriclasse, Marion Jones, statunitense, ed Heike Drechsler, tedesca dell'est, alle ultime battute di una infinita carriera agonistica nata iridata fin dal 1983, in occasione della prima edizione dei campionati mondiali. Tre giganti, letterale, in lotta. May frenò di misura le velleità dell'americana, ancora vergine, all'epoca, dai pesanti sospetti di doping, tuttora non chiariti, sopravvenuti negli anni successivi. Ma dovette inchinarsi, solo sette i centimetri di differenza, alla tedesca, che con i suoi trentacinque anni raccolse sulla pedana australiana un primato assoluto di longevità ai vertici agonistici. Eccola, la differenza, tra le due atlete: Fiona correva i cento metri in dodici secondi, Heike, quasi a velocità doppia, in undici! Un caso singolare lega la traiettoria sportiva di Fiona May, coniugata Iapichino, a quella che la storia classifica come la più forte atleta italiana di tutti i tempi, Sara Simeoni, coniugata Azzaro: entrambe rubate alla danza classica, trasferite, l'una sulla pedana del salto in lungo, con sporadiche e poco convinte apparizioni nel salto triplo, l'altra, sulla pedana dell'alto, dove impresse il segno indiscusso d'una classe superiore. Ora, sulla soglia dei trentasei anni, con due gambe che parlano una lingua sconosciuta all'orgoglio infinito di una donna che misura se stessa ed il prossimo in ogni momento della propria esistenza, per Fiona May, l'attesa, il senso, l'aspirazione di una vita giovane, da rinnovare, con un tributo di memorie da trasferire di peso nella migliore eredità dello sport italiano.