Lazio, serve Liverani per ritrovare il gioco
La notte del Sant'Elia ha consegnato l'immagine d'una Lazio ingolfata, incapace di imporre la propria identità nonostante i rassicuranti 4 punti in classifica. Il problema, già emerso con il Messina, nasce lì in mezzo e si riflette sul reparto offensivo, mai così a corto di munizioni. Alla radice della questione, almeno a leggere le parole dei protagonisti, ci sono anche ragioni, certo, se è vero che i movimenti impongono ora al centravanti di turno di sacrificarsi anche in copertura, ma le difficoltà sono certamente da rintracciare nella mancanza di un fulcro capace di dettare trame imprevedibili e incisive. Di fare gioco, insomma. L'identikit perfetto di Fabio Liverani, uno capace di lanciare negli spazi e di «leggere» in anticipo il movimento del compagno. Ne sente la mancanza, il tandem Rocchi-Di Canio. Il gioco palla a terra, tutto velocità e fantasia - ora lo dice anche il campo - non può prescindere dalla sua presenza. Nella scorsa stagione, dopo tre mesi di ostracismo sotto la gestione-Caso, era stato Papadopulo a esaltarne le qualità da fine dicitore, buttandolo nella mischia in un derby vinto con la tecnica ancor prima che con l'orgoglio. La sua rivincita, dopo tanta, ingiustificata panchina. Quest'anno Rossi gli ha consegnato subito le chiavi del gioco e ora, nonostante i buoni propositi sperimentati in settimana, la sua mancanza pesa, eccome. Lavora per rientrare con il Treviso, Liverani. Per dare sostanza e forma al nuovo progetto tattico, che anche con Dabo-Baronio ha mostrato scarsa propensione alla verticalizzazione. L'altro nodo, sempre in zona nevralgica, è rappresentato dall'involuzione di Cesar. Spento, apatico, poco reattivo. Non il brasiliano fulmineo e ispirato dei bei tempi, in grado di creare superiorità numerica. Sono loro, Liverani e Cesar, a tenere in ansia la società: contratto che scade a giugno 2006, un rinnovo sul tavolo da vagliare, discutere. In fondo sono loro il valore aggiunto, la qualità d'una squadra ridimensionata sotto il profilo tecnico rispetto ai fasti di inizio 2000. Poi c'è il nuovo che avanza, all'anagrafe Behrami, diciannove anni di speranze. A Cagliari è finito in panchina dopo il doppio impegno con l'Under 21 svizzera. Nel 4-4-2 disegnato da Rossi è lui la progressione capace di fare la differenza. Imprevedibilità sulle fasce, fantasia e tocco di prima al centro: queste le armi - per motivi diversi - fino oggi tenute in naftalina. Rossi conta di recuperare gli strumenti giusti per plasmare la sua idea, con la curiosità di scoprire e magari valorizzare il talento di Mudingayi: il colored arrivato da Torino, al momento oggetto misterioso per problemi fisici e disciplinari, è in realtà il mediano del dopo-Giannichedda, nonostante l'ottimo avvio di Firmani. Almeno nei progetti societari: Behrami-Liverani-Mudingayi-Cesar, il poker perfetto da calare sul green d'un campionato livellato in basso ma che chiede ancora qualità per vincere le partite. Quella che adesso manca alla Lazio.