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Ma se è il Tar che decide, dove sta l'autonomia dello sport?

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Il passaggio dei diritti del calcio dalla Rai a Mediaset non ha spostato, a quanto mi dicono (scrivo da New York), una virgola nella qualità dell'informazione calcistica ma ha occupato le prime pagine per almeno una settimana. Il contratto di sponsorizzazione di un arbitro, sia pure il più bravo, sta facendo concorrenza al caso Fazio, il governatore della Banca d'Italia, i sindaci di molte città minacciano la regolarità del campionato di serie B, il miglior tennista italiano chiede soldi per giocare in Coppa Davis e viene giustamente escluso dopo che, per accontentarlo, la nostra Federazione aveva fatto una scelta sbagliata ed autolesionista programmando l'incontro con la Spagna sulla terra battuta. Insomma non ci facciamo mancare nulla. Tuttavia mi chiedo dove sia finita la tanto sbandierata autonomia dello sport se tre anni fa sono stati i Tar a rivoluzionare la struttura dei nostri campionati e se l'altro ieri lo stesso Tar dice che ha ragione la Lega ed hanno torto i sindaci sulla questione degli orari della serie B. Attenzione lo decide il Tar, non un organo sportivo, ed allora di quale autonomia stiamo parlando ? Siamo un paese dove la storia del nostro calcio comprende episodi di accertata corruzione (Genoa-Venezia, l'ultimo ma non il primo) ma ne ha nascosto negli anni moltissimi altri, dopo di che c'è la preoccupazione che un arbitro possa essere condizionato da un contratto di sponsorizzazione salvo riconoscergli, a posteriori, tutta la stima che si è meritato in tanti anni di carriera. Vorrei tornare un momento sul caso Volandri, trattato frettolosamente e marginalmente ieri nel contesto del racconto di un evento, l'Open degli Stati Uniti, molto più importante di uno spareggio di Coppa Davis. Non è la prima volta che argomenti di vile denaro si inseriscono nel difficile rapporto tra giocatori professionisti e squadre nazionali. E' fin troppo evidente che Volandri, il suo manager e gli altri tre giocatori che avevano sottoscritto la lettera ricattatoria inviata alla Federazione a poche settimane da un delicato incontro di Coppa, hanno sbagliato. Per una questione di principio ma anche di opportunità. Un giocatore come Volandri, che in dieci partecipazioni ai tornei del Grande Slam ha perso sei volte al primo turno, non avrebbe visibilità se non giocasse in nazionale. La stessa cosa vale anche per gli altri giocatori, tra i quali il solo Bracciali, più intelligente o meglio consigliato, si è tenuto fuori. Ho sentito personalmente Volandri e Galimberti la cui presenza in nazionale è un segno della povertà del nostro tennis, dichiarare a New York che se la Federazione non avesse modificato le sue proposte non avrebbero giocato a Torre del Greco. Non so perché Galimberti, Seppi e Starace abbiano cambiato atteggiamento e non so nemmeno perché a questi tre giocatori sia stata chiesta un'adesione scritta mentre a Volandri nessuno a chiesto nulla. Nella scala delle responsabilità il primo posto spetta a Corrado Barazzutti, che ha tecnicamente sbagliato scegliendo di giocare sulla terra battuta. Barazzutti è probabilmente in buona fede perché pur avendo 52 anni pensa ancora di giocare e quindi crede che il tennis sia solo quello della terra battuta, infatti aveva già sbagliato tre anni fa quando scelse la stessa superficie per affrontare la Finlandia a Reggio Calabria. Ha sbagliato la Federazione perché, proprio in base al principio che sulla maglia azzurra non si tratta, non doveva nemmeno avviare una trattativa, tantomeno inviare un ambasciatore (Palmieri) a New York. I giocatori infine, fatta eccezione per Bracciali, si sono comportati da professionisti di terza categoria. La patetica dichiarazione sulla coesione del gruppo si è sciolta al primo ostacolo lasciando al solo Volandri la parte peggiore in tutta la commedia.

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