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Tempio dello sport che nel '71 vide il trionfo di Arese

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Uno dedicato a Paavo Nurmi, leggendario corridore degli anni Venti, celebre per la sua scontrosità, detentore di trentacinque primati mondiali, scomparso nel 1973, il secondo a Lasse Viren, cinquantaseienne vivo e vegeto di Myrskila, unico atleta cui sia riuscito affermarsi in due Olimpiadi consecutive, Monaco e Montreal, su 5.000 e 10.000 metri. Non è un fenomeno di modernità, lo stadio olimpico di Helsinki. Ma è tra i più evocativi al mondo, avendo tenuto a battesimo la bellezza di 26 primati mondiali. Una costruzione iniziata nel 1934, conclusa quattro anni dopo, inaugurata il 12 giugno 1938. Due anni ancora, ed Helsinki sarebbe stata pronta per ospitare la dodicesima edizione dei Giochi olimpici, data fissata, 20 luglio- 4 agosto 1940. La guerra fece il resto, i Giochi saltarono in aria insieme con milioni di individui, l'appuntamento olimpico subì un rinvio di 12 anni, preceduto nel 1948 dall'edizione della rinascita, disputata in una Londra ancora con i segni terrificanti delle bombe. Nel 1952, con sessantamila persone in piedi, gli ultimi tedofori furono Johannes Paavo Nurmi ed Hannes Kolehmainen, altro fenomenale atleta che si affermò in quattro occasioni olimpiche tra il 1912 ed il 1920. Dai Giochi del 1952, perpetuando un'antica tradizione che aveva preso avvio a partire da metà Ottocento, lo stadio di Helsinki venne unanimemente consacrato come tempio del più classico degli sport. Come il baseball negli Stati Uniti, come il calcio in Brasile, Argentina e Italia, nelle terre e nelle passioni finlandesi l'atletica regna incontrastata. Accade che uno stadio semivuoto in occasione della disputa di una partita internazionale si riempia il giorno dopo per l'incontro annuale tra le rappresentative atletiche di Svezia e Finlandia. Dopo il 1952, lo stadio della capitale finnica visse altre serate memorabili con i Campionati europei del 1971. L'Italia ebbe il suo momento di gloria con Franco Arese, attuale presidente federale, trionfatore sul rettilineo finale dei 1.500 metri, e si appassionò per l'esordio continentale in maglia azzurra di Marcello Fiasconaro, l'atleta nato in Sud Africa da padre italiano e madre belga, giunto ad un soffio dal titolo sui 400 metri, vinto da un giovane britannico dai tratti falsamente innocenti, Dave Jenkins, preso anni dopo con le mani nel sacco in un colossale traffico internazionale di prodotti dopanti. Dopo quella di Luigi Beccali nell'edizione inaugurale degli Europei, celebrata a Torino nel 1934, quella di Arese rappresentò la seconda affermazione italiana in campo europeo nella più classica delle gare di mezzofondo. Corse e vinse in calzoncini rossi fuori ordinanza. E divenne celebre nella terra delle renne come i grandi corridori locali. Oggi, alla testa di una rappresentativa italiana di cinquantacinque elementi, è tornato sul «luogo del delitto». Con qualche certezza, e con molte speranze. In un territorio dove la gente, giovani compresi, fa dei segni del passato atletico un investimento sentimentale.

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