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Viaggio all'interno della crisi della Roma: quello attuale è il campionato peggiore delle ultime 55 stagioni Difesa colabrodo: subite già 58 reti

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Uno o, meglio, tre, che significherebbero salvezza immediata e possibilità di programmare da subito la prossima stagione, quella del riscatto. L'annata che sta per concludersi, infatti, è stata la peggiore non solo dell'era Sensi, ma anche dell'intera storia recente della Roma, che da ben cinquantacinque anni non si ritrovava così in basso in classifica a questo punto del campionato. Per ritrovare un cammino così disastroso dei giallorossi, infatti, bisogna tornare indietro con la memoria all'immediato dopoguerra, quando la «Rometta» di Baldassare e Restagno viaggiava puntualmente nelle retrovie del campionato, tanto che alla fine del torneo 1950-51 retrocesse perfino in B. Anche in quegli anni la serie A era a venti squadre, come oggi, una strana coincidenza che ci fa pensare che forse questo format non si addice proprio ai colori giallorossi. Nei campionati così lunghi della storia del nostro calcio, infatti, la Roma è andata sempre male, tanto che negli unici quattro tornei tanto allargati giocati prima di questo (ovvero tutti quelli dell'immediato dopoguerra) si è piazzata quindicesima (1946-47), quattordicesima (1948-49), diciassettesima (1949-50) e diciannovesima (1950-51), con la conseguente unica retrocessione in B della sua storia a cui accennavamo prima. Ai campionati a venti squadre, inoltre, sono legate la sua peggior difesa di sempre (70 gol subiti nel torneo 1949-50) e il suo maggior numero di sconfitte in un campionato (20 nel 1950-51, quando retrocesse). Oggi di reti la retroguardia giallorossa ne ha già subite 58 e alla fine mancano ancora due partite, quelle che debbono garantirle almeno la permanenza in A, che per la società vorrebbe dire anche evitare un tracollo economico. La retrocessione, infatti, la porterebbe a perdere qualcosa come quarantaquattro milioni di euro, ovvero la metà dei soldi che si vedrebbe garantire con la permanenza nel massimo campionato. Uno sbilancio che nessun club al mondo sarebbe in grado di sopportare. Figuriamoci cosa significherebbe per quello giallorosso, già alle prese con conti in rosso ed esigenze di risanamento da più di un anno. La natura della crisi che ha inaspettatamente investito la società dei Sensi affonda nell'estate scorsa, quando iniziarono i problemi familiari di Prandelli e quelli di quest'ultimo con lo spogliatoio, poi culminati nella lite con Cassano nell'intervallo dell'amichevole di Perugia. Alle dimissioni del tecnico fece seguito la scelta sbagliata di affidarsi al cuore anziché alla testa, ovvero di richiamare a Roma una bandiera come Rudi Voeller, appena dimessosi dalla guida della nazionale tedesca. Il buon Rudi accettò senza battere ciglio, spinto dall'affetto che lo lega ai colori giallorossi e dalla voglia di tornare a correre sotto la sua curva, ma qui si accorse che l'impresa da compiere era molto più ardua di quello che si aspettava. Anche lui ebbe le sue belle discussioni con Cassano, messo fuori squadra nella tragica gara d'esordio in Champions con la Dinamo Kiev perché «non mentalmente pronto» (come disse lui stesso); anche lui non riuscì ad inquadrare un gruppo troppo allergico alle regole. Così, dopo l'umiliante 3-1 di Bologna in undici contro nove, dopo quelle di Prandelli, arrivarono anche le dimissioni del tedesco, che se ne andò dicendo: «Nella Roma c'è troppa indisciplina». Parole che avrebbero trovato il loro fondamento in tutto il resto della stagione. Via Voeller, dentro Del Neri, altro giro altra corsa, ma con lo stesso leit-motiv. Lite con Cassano, incomprensioni con altri senatori come Panucci, esigenza di dare una disciplina e delle regole ad un gruppo che, invece, non ne voleva sapere. Il tutto con la società che stava a guardare, presa com'era dalla necessità di sistemare i bilanci, trovare i soldi per l'amministrazione ordinaria di un club che costa dieci milioni di euro al mese e capir

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