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Capello rimane garanzia di successo

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Nessuna condanna definitiva, titolo teoricamente ancora in ballo ma è logico e giusto che la Juventus festeggi, con doveroso ringraziamento al «terrorista» Zeman i cui ordigni, stavolta squisitamente sportivi, hanno fatto centro nella giusta direzione. E può esultare anche Marcello Lippi, la legge dei numeri dice che in ogni caso la temutissima ipotesi di uno spareggio per il titolo è già svanita. Nella consueta coda televisiva della giornata, l'Oscar dello scandalo è stato disinvoltamente assegnato alle due romane, per il deprimente «no contest» del derby, dunque minimizzando le ignominie di Trefoloni ai danni del Lecce e la ricorrente sensazione, a stagione ormai conclusa, che i nostri arbitri (Collina sola eccezione) quando sono assillati dal tarlo del dubbio puntualmente decidono che Robin Hood è un pessimo esempio e che pertanto è giusto rubare ai poveri per dare ai ricchi. Per tornare allo sdegno che ha bollato il patto di non belligeranza dell'Olimpico illustri opinionisti hanno accolto la via della censura senza mezzi termini. Dimenticando due piccoli particolari: che nessun regolamento obbliga a scoprirsi in attacco due squadre che privilegiano lo stesso obiettivo; e che ben diverso è il caso in cui gli interessi delle due protagoniste non sono convergenti, il Milan in due campionati diversi a garantire la salvezza prima della Reggiana e poi della Reggina, sorta di ammirevole par condicio tra l'Emilia e lo Stretto. Ma intanto Fabio Capello si accinge a celebrare il suo ennesimo tricolore, conquistato con un organico che probabilmente non vale quello della sua rivale d'elezione, il Milan. Pure, da queste parti Capello non è da santificare per avere vinto uno scudetto, ma da crocifiggere per averne perduti due, invece di esaltare due secondi posti ad alto punteggio. Come se a Roma correre per il primato risultasse storicamente evento di tutti i giorni. Di qui la mia personale simpatia al tecnico di Pieris, che forse non ha sempre atteggiamenti accattivanti, ma che il lavoro sa farlo, in società prima ancora sul campo di allenamento, cruda testimonianza il destino della Roma dopo la sua partenza, fortemente incoraggiata dalla società. Ma il punto fondamentale della giornata è rappresentato dall'incertezza totale che ammanta la zona salvezza, alla faccia di chi riteneva che quota quaranta fosse già sufficiente per garantire tranquillità alla Roma. Fuori tiro Cagliari e Livorno, entrambi in grado di «patteggiare» con la Juventus risultati bianchi reciprocamente graditi, rimangono in undici a dover soffrire, magari togliendo subito di mezzo Reggina e Lecce, scontro diretto sicuramente incruento. Alla Lazio manca poco e niente, da quarantuno in giù tutti impelagati, terribile il calendario della Roma, che magari la prossima giornata potrebbe alleggerire, però con una serie di concomitanti risultati favorevoli troppo belli per essere veri, mentre i romanisti andranno a Bergamo, tanto per cambiare, in spaventosa emergenza. Esaminato il panorama, come dar torto alle due romane se hanno deciso di spartirsi il tozzo di pane che il banchetto delle più forti aveva lasciato sulla tovaglia? I fischi e i mugugni delle due tifoserie sono legittimi, chi ha pagato il biglietto avrebbe meritato un meno avvilente spettacolo. Però, con un minimo di cinismo che i benpensanti definirebbero sano realismo, anche un'altra considerazione merita uno sguardo attento: se si decide di dedicare un paio d'ore del proprio tempo a una conferenza sulla coltivazione del pistacchio in Sardegna, si ha poi diritto di piangere sulla noia morta di un pomeriggio perduto? Insomma, si sapeva tutto in anticipo. Meglio restarsene a casa, meglio ancora una bella gita fuori porta.

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