«Potevo fare un gran risultato»
Il giapponese della Bar Honda alla fine non prende punti, ma la sua qualifica e la sua gara sono quelle di un pilota di temperamento. Sta emergendo un talento? A sentire Rubens Barrichello sembrerebbe un pivello, ad ascoltare Jarno Trulli, che invoca provvedimenti, un collega più che altro scorretto. Ma insomma, è quando si comincia a parlare di te che diventi importante. Fu così con Michael Schumacher, fu così con Juan Pablo Montoya. Il ciclista mancato, emerso come driver a 18 anni grazie a un corso di guida Honda e ora protagonista della clamorosa svolta della Bar, ha fatto vedere cosa sa fare. Con personalità, piazzandosi in prima fila a fianco di Schumacher, facendo a sportellate al via, perdendo posizioni e risalendo, fino a riprendersi, momentaneamente, la seconda posizione prima di dover rientrare ai box per rimediare al contatto con Barrichello e poi ritirarsi per lo scoppio del motore: «Avevo gomme fresche, potevo superarlo all'interno e ci ho provato, evidentemente Rubens non mi ha visto». Si discolpa, insomma, come si assolve del contatto alla curva 4 con Trulli: «Semplicemente non l'ho visto», spiega, dicendosi «estremamente deluso di aver finito questa giornata con la rottura del motore. La macchina era fortissima e pur avendo perso la seconda posizione al via, me la sono ripresa. Poi è stata tutta una lotta. Al secondo pit stop ero fiducioso di sorpassare Rubens, ma sfortunatamente ci siamo toccati. Peccato, avevo un gran passo e potevo fare un gran risultato». Prima di lui, solo Aguri Suzuki ha portato il Giappone sul podio, a Suzuka, nel 1990, con la Lola Lamborghini. Sato quel giorno era lì per guardare il suo mito, Ayrton Senna, e si cominciò ad appassionare alle corse. Oggi ha fallito il tentativo di uguagliare o addirittura superare Suzuki, ma ha fatto vedere che la Bar non è solo Button, che c'è anche lui.