CUNEGO

La sua impresa al Giro trascende i confini italiani e investe l'intero movimento internazionale: vincere una grande gara a tappe ad appena 22 anni, nello sport moderno, è quasi impossibile. Non tanto perché non è mai facile scalfire gerarchie consolidate nel tempo e tanto più rigide visto il carattere conservatore dell'ambiente del ciclismo; quanto perché a livello fisico, in un atleta tanto giovane, il recupero da un giorno all'altro non è sempre agevole. A meno che non si sia dei fuoriclasse. E il punto è proprio questo: Cunego è un fuoriclasse. Era un dominatore annunciatissimo sin dalle categorie giovanili. Fu campione del mondo juniores nella sua Verona, nel 1999, e già allora Giuseppe Martinelli lo seguiva con attenzione, avendolo scoperto due anni prima tra i Giovanissimi. E proprio l'ex mentore di Pantani, e attuale direttore sportivo della Saeco, lo fece passare tra i professionisti due anni fa. L'hanno tenuto quasi nascosto, alla Saeco, l'hanno mandato a correre in corse minori (lo scorso anno vinse il Giro del Qinghai Lake, in Cina), e lo hanno tenuto come gregario al fianco di Simoni nel Giro 2003. Dopo tanta pretattica, in questa primavera non lo si è più potuto frenare. Cunego è esploso al Giro del Trentino, dove vinse due tappe e la classifica finale. La marcia di avvicinamento al Giro è passata attraverso due altri successi, sempre più autoritari, al Giro dell'Appennino e al Gp di Larciano. Tanto è bastato perché Damiano quasi oscurasse, in avvio della corsa rosa, Gilberto. Era un gioco delle parti, ma rischiosissimo (e infatti è finita come è finita): Simoni il capitano tranquillo, e Cunego la seconda punta con licenza di attaccare, qua e là, in cerca di soddisfazioni parziali, ma pronto poi a votarsi alla causa del numero uno. Il giovane veronese ha interpretato alla perfezione il ruolo che gli avevano cucito addosso. Non sapremo forse mai se già tre settimane fa Damiano covasse l'idea dello scherzetto a Gibo; lui, con candore da ragazzino, non ha mai recitato fuori copione. Col suo faccino pulito, tipico di uno capitato per caso in mezzo al traffico mediatico che gli si scatenava intorno, ripeteva la solita tiritera: «Resto un gregario di Simoni». Col passare dei giorni, questa facile formuletta si è via via svuotata di significati: prima la vittoria a Pontremoli, in volata sul gruppo dei migliori. Il giorno dopo, lo scatto a Corno alle Scale, con la piccata risposta di Simoni, che andò a vincere e a prendere la maglia rosa: la rivalità era già nata. A Montevergine fu Damiano a prendersi tappa e maglia. Ma perse il primato nella crono. A Falzes (lo scatto sul Furcia, la cavalcata solitaria verso il traguardo, l'apoteosi) il giorno della svolta, a Bormio quello della rottura: ripreso Simoni in fuga, Cunego ha vinto la volata, scatenando le ire di Gibo, che il giorno dopo (sabato) lo ha attaccato senza fortuna. Ma queste vicende, ormai, fanno parte del passato; tempo che, nel caso di Cunego, è ampiamente minoritario. Già, perché Damiano ha un futuro lunghissimo su cui concentrarsi, e perdersi nei ricordi per lui è ancora prematuro.