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La Primavera giallorossa è già in fiore

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Perché non soltanto quella formazione produceva gioco, gol e spettacolo. Ma perché, era il parere unanime, alle spalle degli undici schierati abitualmente da Capello scalpitava una panchina sontuosa, pronta a offrire la sua freschezza, e il suo tasso di qualità, per far fronte a qualsiasi occasionale defezione, a qualsiasi momentaneo appannamento di condizione. Bene, sarebbe servita proprio, quella panchina, nel momento topico della ripresa del campionato, della sconfitta interna sofferta, di fronte al Milan, da una Roma molle e confusa, troppi panettoni ma anche qualche malumore da spogliatoiO. Malumori, si sussurrava, non estranei a trattamenti economici differenziati, insomma figli e figliastri quando soprattutto questi ultimi, meno gratificati dalle cifre, avrebbero dovuto semmai sperare in un ruolo privilegiato. In quel momento, la panchina dei sogni si è dissolta: infortuni tanti e gravi, dalla pubalgia di De Rossi al ginocchio di Montella, ai malanni ricorrenti di Delvecchio e Tommasi. Il solo fisicamente a posto era Candela: e di quanto poteva vedere sul campo nel corso della settimana, era portato a fidarsi Capello. Con risultati inattesi e deludenti in misura inspiegabile: o meglio spiegabile soltanto con una persistente vacanza mentale, un equilibrio di vita evidentemente smarrito, fino alla più esiziale delle deconcentrazioni. La premessa, riguardante un passato appena alla spalle, va proiettata immediamente nella Roma del futuro. Perché, se non vogliamo prenderci in giro secondo una moda ricorrente, sembra logico auspicare che le entrate garantite dalle partenze dei Samuel, degli Emerson, degli Zebina (e perfino di Lima, per un ingaggio in meno da pagare) debbano avere il fine primario di restituire solidità, e affidabilità, a un club assillato da problemi gravissimi e obbligato a considerare priorità assolute le iscrizioni. Certo, a conti fatti potrebbe avanzare qualche spicciolo, ma con quello che offre il mercato, in relazione alle eventuali disponiblità della Roma sarebbe difficile guardare a nomi prestigiosi. A tutti piacerebbe Gilardino, anche se non è il settore offensivo quello più sguarnito, ma pochi sembrano rendersi conto che, anche in presenza di un'asta, il costo andrebbe vicino alla cifra ricavata dalla partenza di Samuel: lui sì, un numero uno senza discussioni. Per questo, prima di andare a caccia di mezze figure già note, meglio sarebbe poter individuare un nuovo Mancini, cosa che non capita tutti i giorni. Allora, credo che Capello (se rimarrà) e Baldini abbiano già considerato l'esigenza di attingere a quel vivaio che già in passato aveva consegnato alla Serie A grandissimi campioni. Leggevo in questi giorni, su un'autorevole quotidiano sportivo, lo specchietto di una ipotetica Roma futura con nomi nuovi (Bonera, Mexes, Perrotta, Giulardino, mica bruscolini). Mancava il nome di Daniele De Rossi: che a quest'ora, senza la pubalgia, sarebbe con le valigie in mano per seguire non la Under 21, ma Giovanni Trapattoni e più illustri compagni. Insomma, se il rinnovamento deve portare, e porterà inevitabilmente, a un meno elevato tasso tecnico dell'organico, sarà giusto privilegiare le strade dell'economia e del ringiovanimento, strade fatte per incrociarsi. Già abbiamo visto Corvia e Cerci, quest'ultimo indicato come il più autorevole candidato a ripercorrere il cammino di Francesco Totti, il primo già collaudato da Capello anche in Europa. Ma la Roma ha anche spedito in giro per l'Italia talenti in boccio che hanno avuto modo di farsi notare. Su tutti Cesare Bovo, ventuno anni, diciannove presenze con la maglia del Lecce, contributo non indifferente alla salvezza dei salentini. In Serie B, da segnalare soprattutto Aquilani, pilastro della Triestina e protagonista di una stagione all'insegna della continuità di rendimento. Nella stessa formazione giuliana, presenza costante per Ferronetti, difensore c

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