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di FRANCO MELLI Il prosieguo della storia ultracentenaria dipende soprattutto dai laziali veri.

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Quelli che sanno immaginare, pure grazie alla fede, un provvidenziale recupero d'ossigeno (fra 63 e 188 milioni) sul mercato di Piazza Affari, dove lunedì prossimo non dovrà cominciare l'ultima partita. Quelli dell'altra volta, quando le presenze prevalenti dei piccoli sostenitori nel capitale prodotto parvero orientare questo melodramma biancoceleste verso soluzioni imprenditoriali ancora irraggiungibili. Quelli che sfidano risoluti i rischi rappresentati in zavorra milionaria dentro al prospetto informativo, cioè patrimonio netto negativo (38,9), perdite monitorate dopo nove mesi (84,8) e indebitamento finanziario (45,6) lungo lo stesso periodo. Quelli che aggregheranno nuove associazioni come l'Apa e Lazionista, nate mentre evaporavano troppe illusioni e restava desolante o nullo l'apporto di alcuni potenziali salvatori. Quelli che sperano d'aggiungere addirittura lo scoperto 80,69, massimo investimento popolare, diventando entro fine giugno fondamentali nell'aumento ora spostato appena del 7,78% dall'adesione firmata Capitalia e Bnl. Poi, un doveroso realismo impone durante l'avvicinamento di sorvegliare i sogni e prevedere pure tanta gente esitante, quasi non bastassero le sollecitazioni del cuore. Certo, sono tifosi scusabili più dei parsimoniosi «vip» Ligresti, Ricucci e Merloni, cui solo il coinvolgimento totale di Roberto Mancini nell'obbligato ridimensionamento darebbe una spinta decisiva. Proprio lui, tecnico intanto corteggiato da Moratti, vanterebbe ogni requisito per proporsi credibile quale garante dell'azionariato diffuso che consentirà alla lazialità d'andare avanti, forse in modo non traumatico, forse abbastanza rassicurati grazie ad un miracoloso assestamento. Dovrebbe irradiare fascino, fulcro carismatico della società reinventata sulle ceneri dei passati splendori, pagati duramente. Dovrebbe tutelare, sulla base di programmi adesso non annunciabili, il diritto degli anonimi soccorritori ad incidere (determinare?) sulla composizione del prossimo gruppo dirigenziale, nel pieno rispetto d'una public company rilanciata. Invece tengono banco i mutevoli umori dell'Inter, i nervi logori di Zaccheroni, le smanie autentiche del suo proprietario-petroliere che punta alla svolta manciniana. E l'allenatore sgradito del poco appagante quarto posto rischia cortocircuiti lasciando intendere di ritenersi estraneo al lifting avviato che prevede Veron, Favalli e probabilmente Cesar. Comandato i quattrini, cui la Milano perdente da tempo immemorabile s'affida senza tradire impacci morali. Quindi qua bisogna aspettare, vivere subordinati ai tormenti di Mancini prima d'arrivare all'epilogo del tormentone interista. Facile pronosticare: se Moratti chiama, Roberto accoglierà l'offerta nonostante abbia convertito cinquecentomila euro in azioni laziali, riducendosi anche l'ingaggio del 5%. Comunque, se non arriveranno agganci miliardari, scatterà un aumento di capitale agevolato dall'artista trattenuto, dal suo appeal ineguagliabile che attirerà molte anime oggi dubbiose. Forza, sbrigatevi, i sottoscrittori devono sapere.

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