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dall'inviato FABRIZIO MARCHETTI TORINO — Mai volo fu più leggiadro.

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15di notte, ma l'oscurità lascia spazio al bianco e celeste d'un sogno coronato. La Lazio atterra a Fiumicino circondata dall'affetto della sua gente, quella che non tradisce. C'è una marea umana, tremila persone, gli ingressi bloccati, un aeroporto che trasuda entusiasmo. E c'è anche il trofeo, alzato al cielo dall'acclamato condottiero, «Roberto Mancini», un coro unico, che mette tutti d'accordo. Fotogrammi d'una notte speciale. La Lazio ha appena alzato al cielo la quarta Coppa Italia della sua storia. Due scritte affisse sul pullman. Un po' di nastro adesivo, ringraziamenti e semplicità: una inneggia a Longo, «il presidente», l'altro è disarmante nella sua lineare sincerità. «Grazie ragazzi». La gente la pensa proprio così. La Lazio è riuscita a trasformare due anni di traversie societarie in un miracolo sportivo: s'è isolata dalle polemiche, ha fatto quadrato, ha vinto. L'ha fatto contro la Juve, il gotha del calcio, il blasone. Quasi irriverente. La banda-Mancini è fatta così. Due anni vissuti sul filo delle tensioni, con un'Idea, cioè il gioco, a dominare l'istinto, a reprimere le paure. E poi un gruppo di amici prima ancora che di compagni. Ecco perché gli applausi, delle famiglie arrivate a Fiumicino nel cuore della notte, hanno un significato che va oltre. Oltre quello che sarà, perché il futuro è lì davanti e sembra tanto un grafico da decodificare. Mancini sì, Mancini no, chissà. Non importa. Almeno nel giorno dei festeggiamenti. Durante il volo quella Coppa colma i vuoti, le paure, le ansie. Si regalano un sorriso, un abbraccio, un sorriso ammiccante. Non hanno avuto paura neanche sul 2-0, raccontano seduti in volo, con le luci soffuse. «Siamo la Lazio, dopo il gol di Del Piero abbiamo cominciato a giocare come sappiamo», sottolinea Liverani, che del miracolo biancoceleste è il testimone più fulgido, lui che ha trasformato i fischi in applausi. E poi tutti concordi. «Questa vittoria è dedicata ai tifosi», il ritornello che parte mentre un applauso spontaneo s'alza sul volo che parte da Torino all'1.40, con un carico di gioia a bordo. Mihajlovic confida: «Mio figlio però aspettava un mio gol: lo aspetta da tanto, ma non riesco più a fargli vedere come si fa. Dopo il 2-0 di Del Piero si è messo a piangere, ha detto alla mamma di telefonarmi, di dirmi di segnare. Voleva quasi cambiare squadra». Poi però Mihajlovic in qualche modo la partita l'ha cambiata: angolo per la testa di Corradi e gol dell'1-2, la rete che ha di fatto messo la coppa nella bacheca della Lazio prima del pareggio di Fiore. Avrebbe voluto di più, però va bene così. Ora spera di rimanere, anche se l'Inter lo tenta. Perché questo gruppo si confermerebbe in blocco. Scherza Albertini, lui esempio di tante pagine vincenti di storia rossonera: ha regalato un sigaro a tutti i suoi compagni, tradizione bizzarra, originale, sicuramente apprezzabile. Ora organizzeranno una serata, gli amici, i compagni. Tra di loro, non per negarsi la gioia dell'afflato con la gente. Che ci sarà domenica pomeriggio, dopo la partita col Modena, che chissà non regali un'altra gioia. Giro di campo con la Coppa, il modo migliore per salutare i tifosi. È una questione di valori, per loro che non riceveranno premi per la conquista del trofeo. «Va bene così», sorridono, e va bene anche ai tifosi che vorrebbero parlare un po' meno di soldi e più di passione e attaccamento. E magari di successi. Lo specchio di questa Lazio. Bella, temeraria. E vincente.

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