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dall'inviato FABRIZIO MARCHETTI TORINO — Magnifica.

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Stavolta però c'è il lieto fine che si confonde con il trionfo proprio come trent'anni fa con il primo scudetto. Alza la Coppa Italia al cielo nel giorno del trentennale della conquista del primo scudetto, Favalli, capitano d'una banda di pirati che chiude un ciclo con il trofeo nazionale. Corradi e Fiore cancellano l'incubo d'una serata nata male, ingenerosa, strana. Finisce 2-2 al Delle Alpi, la Juve s'arrende, alza bandiera bianca. Anche la Vecchia Signora chiude un'epoca ma senza gloria, questo sì, un segno dei tempi che cambiano. Non sono bastati Trezeguet e Del Piero, dopo un errore grande così di Paparesta, per minare le certezze della banda Mancini. E alla fine sono i cori degli oltre 7 mila tifosi biancocelesti a risuonare al Delle Alpi: è la quarta Coppa Italia della storia. Che la festa inizi. Bella e coinvolgente. Colorata di biancoceleste. Mihajlovic c'è Il serbo stringe i denti: il ginocchio scricchiola, ma la voglia di onorare la scena è più forte del dolore. E allora Mancini conferma il 4-4-2 annunciato: accanto a Corradi, davanti, c'è Muzzi, con Cesar e Fiore esterni di centrocampo e il ritrovato tandem Liverani-Giannichedda a formare la cerniera centrale. Lippi invece punta su Nedved-Del Piero-Trezeguet, il meglio d'uno scioglilingua, quello bianconero, troppo spesso recitato a intermittenza. Il nocchiero bianconero dà poi spazio ai fedelissimi Pessotto e Birindelli, con Maresca a dettare le trame della speranza. Trezeguet illude L'avvio non è di quelli al fulmicotone. Al Delle Alpi c'è aria di ultimo giorno di scuola, quello dei saluti e delle lacrime, bandoni per Lippi, ringraziamenti, quasi la Coppa Italia fosse un qualcosa in più. La Juve in realtà ci tiene. Eccome. La Lazio di più. Si parte dal 2-0 dell'andata e il copione imporrebbe un assalto all'arma bianca che non si trasfigura dietro i primi, velleitari tentativi bianconeri. La banda-Mancini regge bene l'urto, Giannichedda corre per quattro e la Juve nicchia sorniona senza affondare i colpi. Non basta un tiro di Nedved per far accendere la spia nella difesa biancoceleste. Anzi c'è spazio per una sortita costruita sull'asse Oddo-Fiore, prima della discesa, questa pericolosa, di Zambrotta, conclusa con un diagonale fuori dallo specchio. Pochi istanti dopo arriva l'1-0: Pessotto affonda sulla destra, lascia il testimone a Birindelli che trova tempo e spazio per rifinire un pallone calibrato per la testa di Trezeguet: il colpo di testa è quello d'un mese fa, stessa forza, stesso esito. Tra i due centrali laziali svetta il francese che firma il vantaggio. I biancocelesti sbandano per un paio di minuti, poi si torna a tessere la trama. Che è bella e ammaliante, ma non trova gratificazioni, cioè il gol, perché gli stoccatori latitano. Muzzi si danna l'anima e mette dentro un traversone basso che Fiore non raccoglie per una frazione galeotta. Liverani ci prova dalla distanza, Corradi non trova lo specchio perché neutralizzato dall'intervento decisivo di Thuram. Apoteosi Lazio Si riparte e la Lazio perde la restante della dote: lancio lungo per Trezeguet, la difesa si fa sorprendere, il francese stoppa, si porta avanti il pallone con la mano, Paparesta fa finta di niente e il francese si piazza a tu per tu con Sereni. Respinta e tap-in facile facile di Del Piero per il 2-0. La Juve senza quasi accorgersene pareggia i conti, annulla cioè il risultato dell'andata. La Lazio recrimina ma serve a poco. Ora, incredibile, si gioca alla pari. E Mancini cambia: dentro Inzaghi per rivitalizzare un attacco che non s'accende. I biancocelesti crescono, salgono di tono, più forti del torto arbitrale. Corradi si produce in un paio di tentativi così e così: un liscio e un tiro mancato, un po' sulla falsariga di quanto visto a Brescia. Passa alla cassa qualche istante dopo però, forse per il gol più importante della sua carriera. Stacca di testa su angolo di Mihajlovic, fa 2-1 e va sotto la marea biancoceleste, quei 7 mila ch

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