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di DANIELE DI MARIO QUINDICI anni dopo Alberto Mancini, un argentino è tornato in finale ...

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Nalbandian è un ragazzone castano chiaro che Mancini se lo ricorda appena: «Quando lui ha vinto a Roma io ero piccolo, ma me lo ricordo. L'ho visto giocare in tv. Ma quello che hanno fatto i miei predecessori, Vilas, Clerc e Mancini, conta poco. Adesso è importante quello che riuscirò a fare io». Parla bene l'italiano, Nalbandian, e del nostro Paese ama i primi piatti: «Prima dell'incontro ho mangiato della buona pasta italiana». Chissà se è stata quella a dargli la forza di battere Costa, vincitore del Roland Garros 2002: «Lui è bravo, ha un buon servizio e col vento era difficile rispondere. Sulla terra devo ancora migliorare, però ho capito di poter essere competitivo anche sul rosso, nonostante preferisca l'erba o il cemento. Dopo il primo set ho preso confidenza con la risposta. Poi, ho giocato un gran tennis nel secondo. Nella terza partita, dopo aver recuperato e aver sciupato molte palle-break, ho giocato meglio sul 4-4». E oggi disputerà la finale, un'altra sfida tra Spagna e Argentina: «Roma è un torneo importante. Spero di vincere. Contro Costa ho giocato bene e vorrei ripetermi in finale. Moya è forte, ma arrivati a un certo punto conta solo vincere e giocare bene». Dall'altra parte della rete, Nalbandian troverà, come detto, Carlos Moya, vincitore a Parigi nel '98 e idolo del pubblico femminile romano, di cui lo spagnolo ha detto: «Ho tante tifose non solo perché mi vedono bello o simpatico, ma anche perché gioco bene». Moya era il finalista che il pubblico ha sempre reclamato. Eppure, il feeling tra il tennista di Maiorca e la Capitale è nato solo quest'anno: «Non so perché. Di Roma mi piace tutto: l'ambiente, il campo, le palle. Eppure qui non ho mai giocato bene. Finalmente ho trovato il mio miglior tennis in una settimana non facile. E' piovuto molto, io sono stato bravo e fortunato a giocare sempre bene. Ho preso fiducia».

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