FONDAMENTALI L'UCRAINO E KAKÀ
Non sono ancora consegnati alla mitologia del football, come «gli invincibili» di Sacchi, ma le prodezze rossonere culminate ieri nel diciassettesimo scudetto resteranno comunque memorabili per molti motivi. I campioni hanno raggiunto quota 79, punteggio-record che potrebbe aumentare dopo Reggio Calabria e l'epilogo casalingo con il Brescia. Poi, i campioni berlusconiani aggiungono altri privilegi stagionali, quasi non bastassero l'opulenza societaria e lo strapotere politico davvero significativo: 60 gol fatti e solo 20 subiti; un girone discendente formidabile e senza mortificazioni; una sola sconfitta causa l'Udinese corsara dentro San Siro; 7 pareggi; il vanto di aver battuto quattro volte su quattro (compresa la coppa Italia) gli inseguitori romanisti, pure se fumogeni e petardi rovinano l'ultima partitissima almeno quanto l'arbitro Messina. Che omette d'assegnare un sacrosanto rigore (gomito allargato di Sheva, su punizione-Totti), scatenando l'ira dei circa diecimila tifosi giallorossi presenti a Milano. Che fa rimpiangere l'indipendenza di Collina, cui capitò d'interpretare il regolamento in maniera opposta durante Siena-Milan, quando punì il solito «pallavolista» snidato in barriera con il penalty. Tutto capovolto, nonostante si tratti di episodio pressoché identico. Certo, è scritto che il Diavolo, nato il 18 dicembre 1899 nella fiaschetteria milanese di via Berchet, debba agguantare anzi tempo il titolo tricolore, nonostante gli irragionevoli desideri rugantini subito raggelati dall'eversore Shevchenko. Sempre lui, guastafeste romanista e stoccatore decisivo nel volo ancelottiano, con addirittura ventidue centri. Sempre quel terminale elettrico, cui Kakà porta spesso rifornimenti geniali prescindendo dal modulo tattico che viene scelto. Ecco, sono loro due i protagonisti assoluti della cavalcata cominciata subito dopo le inadempienze mondiali di Tokio e le ripercussioni psicologiche castigate dai ragazzi di Spalletti. Rammentate? L'eclissi sembra favorire la Roma spettacolare ed esagerata griffata Capello. Cioè il gruppo dei record paralleli, che coniuga risultati e fantastiche soluzioni corali lanciando in orbita Cassano e Mancini, prima di frenare causa colpevoli amnesie. Forse la Roma butta occasioni preziose davanti a Brescia, Ancona, Bologna. Onore, comunque, ai vincitori, senza dimenticare l'aiuto non richiesto che ricevettero via via da Paparesta, Messina e altri fischietti sensibili al loro fascino. Ma il primato, protetto bene anche da Dida (primo portiere straniero ad aggiudicarsi uno scudetto), Nesta e Maldini, è sostanzialmente legittimo. Capello s'inchina.