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I club potranno spalmare le perdite in dieci anni. Salvaguardate le norme europee sulla concorrenza

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Il ministro Buttiglione pronto a «neutralizzare» gli effetti fiscali del decreto. L'Ue: così vengono tutelati i contribuenti Ora il salvacalcio non è più aiuto di stato

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Ma, nel farlo, Roma non rinuncia allo scopo principale del contestato provvedimento: permettere ai club di spalmare su dieci anni le perdite dovute alla svalutazione del parco giocatori. In pratica si sgonfia la vicenda del decreto legge del febbraio 2003, che consente - e consentirà - alle società di calcio di serie A e B di ammortizzare la «svalutazione» dei calciatori in dieci comode rate e di risolvere così tanti problemi di bilancio. Tanto che il ministro per le politiche comunitarie, Buttiglione, ha archiviato come in parte «risolto» il dossier che «ha preoccupato milioni di tifosi italiani». Intesa Dopo un incontro con il capo dell'Antitrust a Strasburgo, Buttiglione ha annunciato che è stato raggiunto con Monti un accordo per per la «sterilizzazione» degli effetti fiscali nel decreto salva-calcio: un aspetto che secondo il ministro era «per certi aspetti il più pericoloso» perché Monti - a differenza del suo collega Bolkestein, responsabile del mercato interno e titolare dell'altra inchiesta sul salva-calcio - «dispone di poteri sanzionatori propri». Una soluzione che soddisfa anche il capo dell'Antitrust europeo, che si è detto «lieto» per la decisione del governo italiano grazie alla quale si esclude «esplicitamente ogni possibilità di aiuto di stato». Ora, ha commentato il Commissario Ue, grazie «all'intervento della Commissione europea i contribuenti italiani possono stare tranquilli: qualunque cosa avvenga alla discussa gestione finanziaria del calcio, essi non saranno chiamati a salvarlo con i loro soldi». In realtà, l'indagine di Monti riguarda un effetto marginale - e forse involontario - del decreto: con la dilazione delle perdite dovute alla svalutazioni i club in attivo potrebbero godere di sgravi fiscali. Un aiuto di stato indiretto, era l'accusa di Monti, che rischia di distorcere la concorrenza a livello europeo. L'accordo, invece, rende fiscalmente neutro il provvedimento. Una soluzione però che non tocca l'aspetto cruciale del provvedimento. Non a caso, il sottosegretario ai beni culturali con delega allo sport, Pescante, ha ammesso che non era l'aspetto fiscale a «interessare di più» - anche perché gli sgravi sono «irrisori» - in quanto «la cosa più importante era spalmare il deficit». Il nodo contabile Su questo aspetto sta indagando un collega di Monti, il responsabile per il mercato interno, Bolkestein. E la procedura di infrazione da lui avviata per violazione delle norme Ue in materia di contabilità di bilancio resta in piedi. «Credo che chiuderemo bene anche con Bolkestein», dice Buttiglione. Ma anche se non si trovasse un accordo, e l'Italia decidesse di non modificare il decreto per eliminare i dubbi di Bolkestein, la procedura rimasta in piedi potrebbe avere pochi o nessun effetto sulle tasche dei club italiani. Anche qualora la Corte di giustizia dell'Ue decidesse di condannare l'Italia per violazione delle norme Ue proprio sulla base della procedura avviata da Bolkestein, infatti, secondo fonti concordanti non vi sarebbero «effetti diretti» sui club. Inoltre, un eventuale verdetto dei giudici Ue non arriverebbe prima di «4-5» anni e comunque non avrebbe effetti per i bilanci dei club e in particolare per l'annata 2002-2003, la sola per cui il decreto è valido.

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