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di FRANCO MELLI

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Buio pesto, ma soprattutto tanta voglia di rimpiangere gli assenti Pelizzoli, Samuel e Chivu, quasi non bastassero i torpori dei mediani canonici a supporto del tridente spericolatamente ribadito. Né lo stacco-Carew, sull'unico assist fatto apposta per sottolineare la presenza di Cassano (poi sostituito dal tamponatore aggiunto Tommasi, causa l'impudenza blucerchiata), placava Novellino e i suoi guastatori, come spesso capita quando le organizzazioni meno quotate vengono castigate e raggiunte mentre stanno producendo più occasioni. Meglio allora liofilizzare lo spavento giallorosso culminato nel rigore probabile negato all'incursore Diana (ma l'arbitro Ayroldi perdonerà poco dopo pure Sacchetti, non solo Dellas) e applaudire il tottismo, arte che capovolge gli accadimenti fuori dai valori collettivi. Lo sanno i giurati del Pallone d'oro e i commissari tecnici premianti? Il Fenomeno di Porta Metronia usa il radar dei fuoriclasse, per avvitarsi decisivo all'interminabile cross che spiove oltre le sentinelle, cui l'ex Antonioli accorda fiducia. Lui e la prodezza in tuffo, senza scocciatori molesti. Lui che sgomenta Novellino, nonostante provenga da un periodo di acciacchi frenanti e stroncature non sempre meritate. Così lampeggia dentro l'Olimpico un'altra storia rispetto alla partita presunta. La storia della Roma squadernata sul tetto dei quarantadue punti, campione d'inverno a dispetto delle calunnie sopportate e riguardanti i guai societari. Giusto restare cauti. Lo impongono gli inseguitori juventini. Lo suggerisce lo psicodramma interista, cioè il blitz empolese che il reprobo Vieri sopporta dalla tribuna. Qui il presidente Sensi si toglie il capello, non appena Totti chiude con procedura maradoniana la fase ascendente del campionato. Poi, nel posticipo, il deludente Milan ringrazia Pancaro che stende il Brescia con una incornata liberatoria agli sgoccioli. E lassù non cambia nulla.

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