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di FRANCO BOVAIO ROMA-Sampdoria per Toninho Cerezo è un groviglio di ricordi che si rincorrono.

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La squadra è forte, Capello è un vincente e Totti è ormai un giocatore di rilevanza mondiale che ammiro molto. E poi c'è il giovane Mancini, uno forte davvero che ho visto crescere. Almeno stavolta, per la bella Samp di Novellino, comunque vada, la gara non sarà determinante». Oggi Toninho vive e allena in Giappone dove la sua squadra, il Kashima Antlers, ha vinto tutto quello che c'era di vincere. La famiglia, però, abita a Genova, città apprezzata durante la permanenza nella Samp e dove torna appena può. Ma Roma gli è rimasta nel cuore, anche perché qui, alla metà degli anni '80, con Falcao dette vita ad uno dei centrocampo più forti della storia romanista. Per tutto questo quella di domenica è anche la sua partita: «Che ricordi. Falcao e Mancini erano dei veri leader in campo, gente dal carisma assicurato. Ero contento di correre anche per loro. Conti e Vialli erano le anime allegre dei due gruppi e tuttora sono persone eccezionali. Liedholm e Boskov, poi, due santoni della panchina. Sia la mia Roma che la mia Samp furono due bellissime squadre e due stupende esperienze di vita, fatte da giocatori e uomini veri». Eppure alla Samp finì quasi per caso, visto che dalla Roma doveva passare al Milan. «A cambiarmi il destino furono un infortunio ed un gol. Durante la mia ultima stagione romanista avevo avuto qualche problema con la società e avevo saputo che mister Eriksson voleva cambiare gli stranieri. Il Milan mi voleva e con loro firmai un pre-contratto. Poi, però, mi infortunai proprio quando le nazionali si radunavano per i ritiri pre-mondiali di Messico '86. Dato che col Brasile eravamo in quattro a stare male (io, Zico, Socrates e Dirceu) il medico della nazionale decise che solo due di noi sarebbero partiti per il Messico e scelse Zico e Socrates. In Italia si sparse la voce che quell'infortunio mi avrebbe costretto a smettere di giocare e il Milan rescisse il pre-contratto lasciandomi senza squadra. Tornato a Roma trovai i compagni impegnati nella finale di Coppa Italia con la Samp. All'andata non giocai, ma prima del ritorno Eriksson mi chiese se volevo andare in panchina e accettai. Poi entrai a cinque minuti dalla fine, segnai il gol del 2-0 e Mantovani capì che non ero un calciatore finito e mi volle con sé, facendomi diventare uno dei protagonisti della Samp più forte di tutti i tempi». Nonostante la tua militanza in blucerchiato, però, sei rimasto un gran beniamino del pubblico giallorosso. «Di questo sono felice ed orgoglioso. Il mio rapporto con i tifosi romanisti, infatti, è stato sempre eccezionale. Pensate che quando con la Samp giocavo contro la Roma, i doriani erano addirittura invidiosi del legame che avevo mantenuto con i romanisti. D'altronde Roma ce l'ho nel cuore e gli auguro proprio di vincere questo scudetto».

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