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I doni più graditi per Capello

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Si può pure ringraziare un campionato giudicato troppo presto avvilente, causa l'enorme squilibrio fra alcune formazioni stellari e pesci piccoli, come pareva certificato prima di questa domenica prenatalizia tutta per Fabio Capello. Che chiude l'anno calcistico in beata solitudine, cioè accogliendo graditissimi regali griffati Lippi e Ancelotti, quasi non bastasse la produzione formidabile dei suoi ragazzi, assaltatori proiettati a frantumare quel record d'andata (39 punti) già rintracciabile nel terzo scudetto romanista. Ma l'esperienza impone d'imprigionare l'euforia, mentre merita particolari approfondimenti il primo crollo stagionale sopportato dai campioni rossoneri dentro San Siro, senza trascurare i meriti dell'organizzazione friulana cui Spalletti ha dato schemi spavaldi. Tonfo clamoroso, che il guastafeste Fava annuncia subito e il rigorista Pirlo non smentisce, vanificando l'occasione propizia per tornare in partita. Di certo, vengono rimpianti parecchio gli assenti Nesta e Shevchenko, draghi sempre capaci di rendere invidiabili i rispettivi reparti. Quante volte la truppa berlusconiana ha usufruito delle loro prodezze decisive, salvo raccontare che ogni vittoria arrivava grazie ai sontuosi automatismi? L'Udinese impietosa scopre il bluff, nonostante risultino assenti calibri del valore di Pizarro, Rossitto e Iaquinta, davvero preziosi nella sua realtà tecnico-tattica. L'Udinese pressa ovunque e sfreccia giustamente verso il raddoppio, cui Cafu oppone l'illusoria rete dei nobili che presumevano di fare una passeggiata di salute. Vuoi mettere la coralità giallorossa premiata dalla settima vittoria consecutiva e dal bottino delle trentuno realizzazioni? Orfani di Nesta, i creativi in esubero sbandano e lasciano all'eretismo podistico del lottatore Gattuso l'impossibile compito di recuperare palloni per lo stralunato Kakà, spesso impalpabile. E risulta addirittura accettabile la terna arbitrale cui sovrintende Bertini, non riluttante nell'espellere lo scorbutico Kaladze dopo ribadite scorrettezze. Discreto anche l'arbitro Pellegrino, cui i designatori affidano il romanzesco pareggio sradicato dai bianconeri in Puglia. Cartellino rosso per Iuliano, che vede ovunque sprintare Chevanton quale terminale d'una manovra tanto furibonda quanto ingenua. Sprechi culminati nel ben di Dio buttato via da Tonetto, che avrebbe messo k.o la Juve degli stonati supplenti. Il furore di Nedved, Pallone d'oro rimasto a casa, e Davids non s'improvvisa. Sicché la rivolta dei poveri galvanizza Franco Sensi, nonostante le allusioni del presidente dell'Empoli all'indebitanento di Trigoria. Corsi, come Gazzoni Frascara e Giraudo. L'invidia abbonda. Poi, nel posticipo, la Lazio aggancia l'Inter al quarto posto capovolgendo una sfida che, complice Sereni, sembrava rafforzare le ambizioni di Zaccheroni. Decisive le sostituzioni di Mancini e l'espulsione dell'ex Almeyda sull'1-1. Così Zauri completa la festa capitolina.

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