di RINO TOMMASI SIAMO arrivati al punto che il giornale di riferimento per calciatori, dirigenti, ...
Non so esattamente quali punti di contatto, oltre al latte, abbiano le vicende della Lazio e del Parma ma pare probabile che le vicende della Cirio e della Parmalat finiranno con incidere nel funzionamento dei due club collegati alle due aziende. Volendo comunque considerare anomale queste due vicende, c'è un diffuso clima di disordine amministrativo che coinvolge tutto il mondo del nostro calcio. Nulla di drammatico perché il calcio nel nostro paese è più importante della politica quindi la sua sopravvivenza pare garantita anche se non c'è nessuna intenzione di stabilire delle regole certe, tanto meno di rispettarle. Prendiamo il caso della famosa spalmatura, un termine che apparteneva solo alla nutella ma che è entrato di prepotenza nella nomenclatura calcistica. Era chiaro come il sole che quel provvedimento, oltre a rappresentare una medicina che rimandava ma non curava il male, non avrebbe potuto resistere ad una seria verifica. Pare che Monti abbia concesso un paio di mesi di proroga ma poi cosa accadrà? Ci sono due situazioni che un'azienda dovrebbe sempre controllare e rispettare e sono gli stipendi e le tasse. Ebbene sarebbe interessante sapere quanti soni i club della Lega Professionisti (42 in tutto dopo il carnevale dell'estate scorsa) che sono perfettamente in regola. L'ultima grana è quella della mutualità, vale a dire gli aiuti economici che i club di serie A si erano impegnati a versare a quelli della serie B. Non c'era nessuna ragione, sociale, tecnica e nemmeno morale, per cui il grande calcio dovesse aiutare quello un po' meno grande. Perché mai l'Empoli, unico club professionistico che ha sede in una città che non sia capoluogo (Chievo ed Albinoleffe si appoggiano a Verona e Bergamo), dovrebbe aiutare il Napoli, il Bari, il Catania, il Palermo, il Genoa e la Fiorentina, che giocano in città che sono, per popolazione, tra le prime dieci in Italia? Come tanti altri provvedimenti la mutualità fu inventata per risolvere momentaneamente e demagogicamente una situazione contingente nata in funzione dei diritti televisivi ma non aveva alcuna giustificazione. In quanto ai diritti tv essi sono all'origine della imbarazzante mancanza di equilibrio che esiste nel nostro campionato. Nei nove campionati conclusi da quando è stata introdotta la regola dei tre punti, le prime sei squadre della serie A hanno raccolto tra il 40 ed il 45 per cento dei punti complessivamente assegnati. In questo momento le prime sei squadre hanno in classifica 169 punti, le altre 12 ne sommano 144 il che vuol dire che quella percentuale è salita al 54 per cento. Leggo troppo spesso che questo è un campionato appassionante e può darsi che lo sia per chi lo vive da protagonista ma in realtà è un campionato mediocre perché senza equilibrio. Ci sono troppe partite brutte e troppe partite dal risultato scontato.