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«A volte l'allievo supera il maestro»

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Sull'etere romana, nei bar, tra gli addetti ai lavori, si parla solo del successo della Roma nel derby dell'Olimpico. Pareri contrastanti su andamento della gara, protagonisti, arbitraggio e tutto il resto. Una sola voce si alza all'unisono: quella che elogia le qualità del giovane Amantino, il Mancini in più della Roma, l'uomo derby. Colui che ha impallinato il più noto omonimo nella partita più importante dell'anno, costringendo gli addetti ai numeri a mettere la lettera «R.» davanti a Mancini nel gol in Lazio-Roma (3-3) del lontano novembre '98. In quella lista ci sono nomi pesanti, gente del livello di Crespo, Zola, Del Piero, Adriano, Mancini R. appunto e l'antico Bettega. Ora c'è anche quello di A. Mancini, Amantino che vorrà anche significare «tranquillo», ma dopo il gol capolavoro dell'Olimpico tanto tranquillo non è sembrato affatto. Ora è il momento delle lodi e la più oculata arriva proprio dal tecnico che parla del suo «nuovo» gioiello partendo dal quel fatidico colpo di tacco. «A volte l'allievo supera il maestro. — attacca Capello — Mancini (R.) era un maestro, ma a volte ci sono giocatori che possono fare anche meglio. Bisognerà ricordare questo gran gol, ma anche tutto il lavoro che ha fatto durante la partita». Non a caso il giovane brasiliano è uno dei titolari inamovibili della Roma di Capello: nove presenze in nove partite di campionato e il friulano non lo toglie più. Sul campionato Capello non ha dubbi. «Le prime tre sono quelle più lanciate. La Juve è una squadra più verticale, ma Milan e Roma giocano un calcio più ragionato. Speravo solo che la Champions potesse togliere loro qualcosa: per ora non è stato così». Il tecnico su Cassano e la convocazione in azzurro. «Cassano è maturato notevolmente, anche se a volte deve stare più tranquillo. Sono sicuro che Trapattoni dall'alto della sua esperienza, saprà trovare le parole giuste. Cassano può essere una pagina importante del nostro calcio». Tornando al giovane mancini, protagonista assoluto del momento, i complimenti arrivano anche dall'altra parte dell'oceano da un illustre connazionale: un altro di quelli che a Roma hanno lasciato il segno. Paulo Roberto Falcao. «Quel gol bellissimo è stato fatto vedere anche dalle televisioni brasiliane — attacca Falcao — sono felice perché la Roma è sempre stata una colonia di brasiliani anche adesso che non ci sono più Cafu e Aldair: una vera bandiera giallorossa. Tornando al gol di Mancini è stata una vera prodezza, ma vorrei ricordare che Amantino è già stato convocato in nazionale, quindi per noi non è una scoperta». Tra gli elogi, il trionfo e l'euforia generale c'è anche il mugugno, sussurrato, di un uomo rovinato dagli eventi: Gianfranco Bellotto ex tecnico del Venezia. L'uomo che ha avuto Mancini per una stagione e lo ha lasciato sempre o quasi in panchina. «Il calcio è strano — dice a sua discolpa il «povero» tecnico — in tre mesi un giocatore può cambiare radicalmente. Il Mancini che sta giocando a Roma è tutto un altro elemento rispetto a quello ho allenato io a Venezia. Chi conosce il calcio sa che ci sono anche degli adattamenti fisiologici...». Sarà, ma un Mancini così Capello non se lo lascerà sfuggire: forse la differenza tra Capello e Bellotto è tutta qui.

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