Desta malinconia questa Roma nella bufera, pure se da tempo erano evidenti le sofferenze dell'imprenditore ...
E oltre gli allarmismi causa l'ultimo bilancio non certificato, tocca al piano industriale di ricapitalizzazione, che il club giallorosso promette, raccorciare quei progetti vincenti sempre protetti dal suo presidente; ancora appassionato, ancora sicuro di saper riequilibrare l'azienda entro il prossimo 31 dicembre. Sgomenta soprattutto il punto tre del comunicato uscito l'altro ieri, dopo il pronunciamento degli implacabili revisori dei conti; laddove, in buona sostanza, viene precisata l'urgente necessità di realizzare danaro fresco e plusvalenze vere attraverso la dolora cessione di pezzi pregiati. Non solo, dunque, tagli sull'ingaggio ai giocatori e la richiesta d'un mutuo ipotecario, ma l'amputazione (forse già da gennaio?) dell'organico potenzialmente attrezzato per acquisire il quarto scudetto, obiettivo raggiungibile a maggio senza l'impoverimento tecnico. Che i nemici sparsi auspicano prefigurando la resa vicina del primo tifoso romanista, talmente spericolato da accumulare centoquattro milioni di passività per restare all'altezza di Juve, Milan e Inter. Che l'interessato respinge, puntando molto sulla comprensione dei propri dipendenti nella fase più delicata d'una pesantissima gestione. Lo deluderanno Totti, Samuel, Emerson, Cassano e gli altri nababbi, mentre il 30 giugno 2003 ammontavano a quarantatrè milioni i compensi arretrati non pagati all'organico, tecnici compresi? Qui bisogna intanto salvare le ambizioni della corrente stagione, nonostante Dacourt sembri sintetizzare i malumori d'uno spogliatoio che aspetta quattro mensilità: «Nemmeno al Leeds mi capitò una situazione tanto spiacevole; inutile parlare della riduzione degli stipendi, se prima non viene saldato quanto rivendichiamo». E allora diventa prioritaria l'esigenza di non rovinare l'armonia cui sovrintende faticosamente Capello, senza escludere il futuro ridimensionamento quando l'attuale patron lascerà la Roma. Sta infatti tramontando l'epoca dello splendore, che la famiglia regnante garantiva e forse potrebbe tuttora garantire con il ragguardevole patrimonio immobiliare. Poi, chissà. Poi i fratelli Toti (o l'industriale Angelini, o il manager Caputi) erediteranno comunque un club che non può mantenersi su quote strepitose, senza sinergie. Questo va detto ai profeti di sventura che svolazzano nei paraggi dell'ambiente turbato, vagheggiando l'improvvisa messa in mora della società da parte di qualche creditore esasperato. No, non accadrà, visto che Sensi onorerà gli impegni contrattuali anteponendoli ai settanta milioni di euro dovuti all'Erario. Migliori scelte non esistono, prima d'arrivare all'agognato risanamento. Né funzionerebbe imitare gli squattrinati laziali d'un campionato fa, quelli che Mancini portò al quarto posto rendendo possibile la public-company baraldiana. I campioni romanisti sono in gran parte giovani e hanno mercato, vanti sufficienti per chiamarsi fuori proprio quando i sogni giallorossi guizzano sfrenati. Sensi lo sa e impedirà sfregi con l'amore abituale. Per sbaragliare i gufi ancora una volta.