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MANTOVANI, BOSKOV, ERIKSSON, VIALLI: UN AMARCORD CHE VIVE ATTRAVERSO UNA LUNGA GALLERIA DI PERSONAGGI, CAMPIONI E AMICI

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Bandiera e numero 10 Quindici anni vissuti in blucerchiato tra prodezze e trionfi

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Nessun dubbio di formazione, nessuna paura di uscire sconfitto da uno stadio che lo vedrà sempre vincitore. Un tuffo nel passato gli ha imprigionato la mente: non bastano classe e talento per dribblare i ricordi di una vita vissuta in maglia blucerchiata. La proposta di Paolo Borea davanti ad una zuppa di pesce nel ristorante del campeggio di Senigallia nella lontana estate del 1982, il primo viaggio verso Genova accompagnato in macchina da mamma e papà, poi il bagno di folla per l'investitura ufficiale. Mancini nella notte ha camminato in lungo e in largo in una città deserta e assonnata, accarezzando con il pensiero i suoi posti: si è specchiato nel mare di Nervi salendo su un acquascooter, ma accanto a lui non c'era più il suo amico Vialli pronto a gareggiare. È salito fino a S. Ilario, ma niente rinnovo contrattuale: il suo Presidente non era più lì. Ha cercato invano la sua macchina, un A 112 bianca, che aveva acquistato qualche anno prima da Vullo: anche quella sparita, ma si sa a Genova quando c'è il Salone nautico rubano le auto più preziose. Solo e sconsolato Bobby-gol è tornato sotto la Lanterna per mangiare qualcosa: ha chiesto la solita margherita da Carmine, ma ormai era già notte fonda. Fuori dal ristorante Edilio la serranda era abbassata: troppe volte era stato lui a tirarla giù per mandare tutti a casa dopo l'ennesima riunione del Sampdoria Club Biancaneve e i sette nani. I ricordi nella notte si mimetizzano con la stanchezza, gli occhi si chiudono e l'incubo continua a materializzarsi: neppure il suo amico Giorgio Parri era riuscito a placare la sua fame, né a strappargli un sorriso raccontandogli una delle sue tante barzellette. Mancio tornò indietro, vide la statua di Cristoforo Colombo poi si incamminò verso Bogliasco: nel giorno della partita c'era rimasto soltanto il cane di Boskov che con la palla gioca meglio di Perdomo. Intorno a Mancio non c'era più nessuno: la città era deserta, solo i muri continuavano a parlare di lui e di uno storico scudetto. Mancini si ritrovò solo davanti allo stadio Luigi Ferraris, continuando a chiedersi perché dopo tante vittorie doriane l'impianto fosse ancora dedicato ad un genoano, allora provò ad entrare e si sveglio di colpo: all'ingresso in campo un boato lo accolse come un imperatore. Il re era tornato nello stadio dei sogni per ritrovare tutti i suoi vecchi amici. E dentro c'erano proprio tutti...

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