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Fermi tutti, il calcio italiano è in sciopero Il Totocalcio però fa contenti gli scommettitori. Boom di giocate: con la schedina si vince

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Chi l'avrebbe mai detto che lo sgretolato mondo del calcio avrebbe ritrovato compattezza e unità d'intenti nella forma di protesta più estrema. Ed invece oggi il pianeta del pallone si ferma quasi interamente. Dalle parole si passa ai fatti: la seconda giornata di Coppa Italia è saltata. Su sedici partite in programma non se ne disputerà neanche una. In campo regolarmente solo Fiorentina-Prato, valida però per la Coppa Italia di C e rimarcabile solo perchè sarà l'unica gara inserita in schedina che avrà un regolare calcio d'inizio. La linea dura adottata venerdì in Lega dai 19 club ribelli di serie B non si è certo ammorbidita dopo le minacce di pesanti penalizzazioni. Anzi, ieri la fronda si è allargata. I rivoltosi (capeggiati da un Cellino sempre più battagliero) hanno incassato l'adesione del Como di Preziosi (proprietario anche del Genoa e quindi tentennante fino all'ultimo) e soprattutto delle uniche due società di A impegnate nel primo turno della manifestazione: Lecce e Ancona. I salentini, di scena a Brindisi, hanno annunciato che non scenderanno in campo per solidarietà con la linea politica assunta dalle società ribelli. Sulla scia dell'esempio dei pugliesi è arrivato anche il forfait dell'Ancona, che avrebbe dovuto affrontare la Sambenedettese del patron Gaucci, che, ovviamente, si presenterà all'appello ma non troverà il proprio avversario. Posizione paradossale quella assunta dai dorici, che si schierano a fianco del Piacenza (uno dei club più accesi nella protesta) che ne ha più volte chiesto l'estromissione dalla serie A per lo scandalo relativo alle false fidejussioni. L'ammutinamento odierno preoccupa soprattutto in prospettiva campionato. Al fischio d'inizio mancano appena sei giorni e se il massimo campionato non è a rischio (i grandi club si opporrebbero con decisione ad uno slittamento-bis dopo quello dello scorso anno), il futuro di quello cadetto è sempre più nebuloso. Galliani, sollecitato anche da Letta e Berlusconi, sta cercando di ricomporre i cocci. Anche il numero uno della Lega, fallito il gioco delle parti adottato in settimana, sa bene che una falsa partenza sarebbe soprattutto un fallimento del decreto governativo emanato martedì. Un contatto tra Galliani e i «ribelli» c'è già stato ma la prima fumata è stata nerissima. Non sembra infatti neppure prendere corpo l'idea avanzata da Galliani di una A a 20 squadre e una B a 22 nella stagione 2004-2005. Anzi, l'alt è stato dato proprio dalle grandi (Juventus su tutte). Il nodo vero non è la formulazione di 20 o 24 squadre in B quanto la mutalità (il versamento di almeno 100 milioni di euro a stagione) che le grandi squadre devono versare alla «cadetteria». Con le piccole che non intendono dividersi la torta con chi è stato poi ripescato dai Tar. Alla scadenza degli attuali contratti televisivi (previsti nel 2005) questa formula è destinata a scomparire. E se le grandi decidono di non versare più la quota lo scisma sarà inevitabile. Quella della A a 20 nel 2004 resta alla fine la proposta meno traumatica e al momento una delle soluzioni è convincere la piattaforma televisiva Sky, attraverso «indicazioni» del Governo, ad aumentare l'offerta per tutta la B oscurata più che mai. E intanto iniziano a scaldarsi anche le tifoserie pronte, perchè no, a fare ricorso al Tar per astinenza da pallone. A Roma, ad esempio, tre ultrà del Martina Franca, la squadra rimasta in C1 per far spazio alla Fiorentina in B, si sono incatenati davanti alla Federcalcio. Gesto simbolico, il loro, ma altri studiano, da Vicenza a Livorno, che addirittura mette i lucchetti allo stadio per non far giocare il Genoa, atti più sostanziosi.

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