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L'Aquila fa lo sciopero della fame

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La squadra: «Ci vogliono togliere ciò che abbiamo conquistato sul campo»

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Lo rende noto un comunicato della società. La stessa società ricorda di aver ottenuto la riammissione nel campionato di C1 con decreto del Tar Abruzzo dopo l'esclusione decisa dalla Covisoc in relazione alle modalità di copertura dell'eccedenza d'indebitamento. «Ma al di là delle decisioni giudiziarie - si legge nella nota - nessuno ha messo in rilievo che L'Aquila Calcio la permanenza in C1 l'ha sudata sul campo con un salvataggio che tutti giudicavano arduo, se non impossibile. Il sodalizio rossoblu ha poi conseguito il riscatto anche sul piano societario, grazie allo sforzo economico di imprenditori e cittadini». «Nonostante tutto - aggiunge la società - ora L'Aquila Calcio rischia di essere ingiustamente cancellata dal panorama professionistico nazionale, con inevitabili ripercussioni anche per i propri calciatori che verrebbero a trovarsi privi di squadra, cioè senza lavoro». La protesta dei giocatori, già in atto, ha «l'incondizionato appoggio di tutto lo staff tecnico e dirigenziale» e si fonda sul fatto «che L'Aquila Calcio rischia di essere l'unica società penalizzata dal decreto legge cosiddetto «salva-calcio» in confronto ad altre realtà calcistiche che possono contare su un maggior sostegno politico». Ma il sacrificio dell'Aquila, ancorché inusuale, non è inedito, anzi ha diversi precedenti. La prima mossa del genere, a memoria sportiva, spetta a Domenico Adinolfi, campione italiano di boxe dei pesi massimi negli anni ottanta, protagonista di qualche giorno di diserzione del desco per una lite col manager e per la mancanza di tutela da parte della Federazione pugilato.

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