Il mito che il Giappone non riesce a copiare

Il mito, quello di una moto che i giapponesi a lungo hanno provato a copiare senza mai riuscirci, è stato rinnovato con una moto disegnata interamente al computer e presentata come «manichino» lo scorso anno al Mugello. Un record di tecnologia e rapidità, come quello di velocità assoluto fatto segnare due settimane fa nelle prove del G.P. d'Italia. La rossa guidata da Loris Capirossi ha toccato sul rettilineo dell'autodromo toscano una punta di velocità di 332,4 km/h mai prima sfiorata da una moto da corsa. Neppure la Ferrari ha mai raggiunto al Mugello una velocità così elevata. Fin dagli anni settanta, Ducati è nota per la sua gamma di sportive «desmo» con motore bicilindrico a V (con i due cilindri disposti a formare una «L»), che hanno conquistato i tifosi di tutto il mondo. Alla fine degli anni ottanta, i motori bicilindrici a V bivalvole raffreddati ad aria vennero sostituiti da un bicilindrico a V a quattro valvole a raffreddamento liquido, progettato da Massimo Bordi, che vinse a Daytona e nella gara inaugurale del Mondiale Superbike. Con la decisione di estendere l'attività sportiva al campionato MotoGP, Ducati ha inizialmente preso in considerazione l'ipotesi di costruire un prototipo di bicilindrico a V completamente nuovo per questa categoria, ma gli ingegneri alla fine hanno optato per un V4, mantenendo caratteristiche tipiche della marca quali la configurazione dei cilindri a 90 gradi e il comando «desmodromico» delle valvole, da sempre punto di forza della Casa italiana. Si tratta di un geniale sistema che elimina le molle di richiamo, con le valvole azionate, sia in apertura sia in chiusura, da leveraggi azionati da ingranaggi. Un patrimonio dell'azienda italiana che i grandi costruttori giapponesi non sono mai riusciti a copiare.