FINE delle trasmissioni, con l'ultima pretesa che evapora presto causa i rincalzi milanisti.
E bisognerebbe suggerire a Franco Sensi d'evitare ogni oroscopo rugantino, nonostante molti maghi (chissà quanto adulatori o millantatori) scandiscano le sue giornate meno felici. Vogliamo ricordare certi tribunali all'amatriciana impegnati nell'annunciare l'ineluttabilità d'un sollievo, deciso politicamente, come risarcimento dopo i torti accumulati? Zatteranti, ballerine, pittori, nani e presunti giornalisti imperversano accomunati dallo stesso impeto rivelatore: Adriano Galliani, galantuomo generoso, lascerà il portaombrelli 2.003 dentro Trigoria; Capello vincerà qualcosa, vista l'esigenza prioritaria che proietta i rossoneri solo verso Manchester; Lega e Federcalcio placheranno quindi la Roma, grazie all'unica elargizione tollerata dai potenti. Questa l'atmosfera d'accompagnamento, mentre Maurizio Mosca rafforza le certezze su scala nazionale: «Tranquilli, Ancelotti catturerà la Champions League, superando 2-1 gli juventini; e, Totti, solleverà al cielo il piccolo trofeo tricolore. Tranquilli, infallibili presagi m'impongono d'azzardare anzi tempo il doppio verdetto. Fracassato quel pendolino che assegnava lo scudetto a Cuper, ho puntato su nuove pratiche divinatorie». Questi i ritornelli preferiti, prima d'arrivare all'1-4 devastante, sotto fischi umilianti. Ma l'opinionista Sconcerti non aveva spiegato che Redondo e Rivaldo troverebbero faticosamente spazi nella Lodigiani? E Furio Focolari non rimproverò più volte ai diavoli rossoneri di svilire la rassegna organizzata proprio dal loro vicepresidente plurigraduato? Benché sbigottiti per l'inutilità del retour-match di sabato 31 maggio, rischiamo addirittura il collasso ascoltando Cafu ai microfoni-Rai: «Possiamo ancora ribaltare una situazione abbastanza compromessa. Credere nel miracolo costa nulla: i sessantamila tifosi presenti mercoledì scorso allo scempio non accetterebbero la rassegnazione. Forza, servono quattro reti a San Siro, senza subire ulteriori dispiaceri!». Poi, lo stordimento mediatico dal quale i fruitori della capitale dovrebbero affrancarsi, contempla le giustificazioni banali di Fabio Capello, precettore pagato otto miliardi netti (in vecchie lire) all'anno per omettere sempre veri approfondimenti. E, complice l'indulgenza dei cronisti ancora abbagliati dagli avanzi del suo fascino, apprendiamo che giusto quattro episodi sfortunati determinarono il crollo. E che un destino carogna, sotto forma di rigori subiti, amnesie o blocchi psicologici, penalizza l'organico nei momenti cruciali, prescindendo dalla sua competitività emersa contro chiunque. Quando prevarrà l'autocritica? Quando diventerà pubblico l'inventario delle responsabilità rintracciabili nello staff tecnico, carenze frequenti sullo sfondo d'un rovinoso appagamento? Passato dal rimpianto-Davids alla bocciatura di strategie societarie, l'orgoglioso Goriziano ha accusato mezzo mondo salvo proteggere il proprio carisma. Ha invocato, allusivo, verifiche antidoping nell'hit parade europea. Ha bacchettato e blandito il sistema arbitrale. Ha provocato e smorzato polemiche, censurando tardi i piagnistei che gli tornavano comodi durante periodi invernali. Ora basta! Ora la gente capisce che l'icona Capello non risulta estranea all'imbolsimento giallorosso; e chiede di valorizzare appieno le risorse esistenti. Con il recupero degli entusiasmi smarriti. Con il lancio dei giovani talentuosi. Con il furore agonistico palpabile altrove. Con le possibilità di Sensi impreziosite da moderni orientamenti. Perché siamo stanchi d'imbonitori e garanti su piazza, quasi non bastassero Piccinini, Varriale, Caputi, gli sbadigli-D'Amico e le canottiere che esibisce Simona Ventura nei talk-show più premiati. Perché andrebbe cestinata la melassa d'un anno televisivo da dimenticare. L'anno di Roma sparita.