CASCO sì, casco no, passano gli anni e siamo sempre qui a prendere atto del fatto che ogni volta che ...
L'obbligo del caschetto protettivo è scattato con questo Giro, introdotto dall'Unione Ciclistica Internazionale e sollecitato dall'emozione provocata dalla tragica sorte di Andrei Kivilev, che in marzo ha perso la vita in seguito a una caduta alla Parigi-Nizza, e se avesse avuto il casco anziché il cappellino probabilmente sarebbe ancora qui tra noi. L'Uci ha finalmente dimostrato di avere polso su questo problema vitale (nel senso stretto del termine), prevedendo sanzioni pecuniarie e penalizzazioni nel ranking internazionale per chi contravviene alle regole, ma i corridori non hanno resistito neanche tre giorni. Così i capi carismatici del gruppo hanno iniziato la loro controcrociata. Pantani sostiene di non aver mai usato il casco, incorrendo anche in mancati guadagni (si sa, lo sponsor tecnico paga per avere il marchio in testa al campione di turno), e chiede che i corridori siano liberi di scegliere. Cipollini va oltre e adombra possibili accordi economici fra l'Uci e le aziende produttrici (la qual cosa pare francamente esagerata), prima di lanciare anatemi contro la mancanza di unità tra i professionisti: «Se fossimo meno disgregati, avremmo maggior potere». L'Unione Internazionale risponde picche, e del resto ha già concesso una deroga all'obbligo (ci si può liberare del fastidioso arnese negli ultimi 5 chilometri di salita in caso di arrivo in quota). Ai ciclisti non basta, ma sorge il sospetto che stavolta stiano facendo un po' troppi capricci. In fondo il casco pesa sì e no due etti, e non è un impedimento terribile. Basterà abituarcisi. Ma. G.