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«Mi sono dopato anch'io»

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Prendendo in giro il mondo ammaliato per una ventina d'anni da quella leggerezza e purezza di movimento, eleganza e potenza di gesti atletici talmente perfetti da sembrare quasi naturali. Tutto marcio e falso, o almeno così sembra dalle prime scottanti ammissioni di un uomo che a 42 anni sta sbandando. Con la Maserati 2004, ridotta ad una polpetta sulla freeway di Los Angeles, e con la vita, nuda senza più una pista dove farla scorrere. Il «figlio del vento» sul tartan volava spedito per inerzia e capacità naturali ma aveva anche un «ventilatore» che lo spingeva veloce. Non gli bastava l'allenamento, il talento, le caviglie esplosive, la capacità di concentrazione, la falcata da gazzella per diventare un'imprendibile icona dell'atletismo. Carl Lewis assumeva sostanze proibite. Lui le chiama stimolanti contenuti in prodotti presi in erboristeria per curarsi un forte raffreddore, medicinali «che di sicuro non mi hanno provocato vantaggi in pista». Ma già una mezza ammissione, inattesa da chi ha sempre negato di fare il furbo e ha sputato veleno contro i bari (il canadese Ben Johnson, l'oro sporco di Seul '88 nei 100 metri), può bastare per scalfire un mito dell'atletica mondiale che, tra accuse di doping e arresti per guida in stato di ubriachezza, in questi giorni sta inciampando rovinosamente nella passata gloria. «Si è vero. Sono risultato positivo per tre volte all'antidoping» è l'ultima pagina oscura scritta da Lewis, 42 anni, da una decina fuori dai Giochi e dai Mondiali, e adesso tornato suo malgrado alla ribalta per lo scandalo che sta squassando l'America e il comitato olimpico stelle e strisce. La «gola profonda», Wade Exum, direttore del servizio controlli dell'Usoc (il Coni statunitense), denunciò centinaia di casi di positività riscontrati su atleti statunitensi e prontamente «occultati» dall'Usoc, grazie alla teoria del doping accidentale. «Ci sono stati centinaia di casi e tutti sono stati trattati allo stesso modo» ha continuato Lewis, confermando così le rivelazioni fatte alla popolare rivista da Exum. L'atleta dai nove titoli olimpici (senza dimenticare i bottini dorati ai Mondiali) che prese il testimone di Jesse Owens - l'eroe di Berlino '36 - e lo portò ancora più lontano nell'immaginario atletico, ha deciso dunque, spontaneamente, di scagliarsi contro lo stesso comitato olimpico che nascondeva le malefatte sue e dei colleghi. Difficile credere che il «figlio del vento» ormai sfiatato dall'alcol e processato tra qualche mese a Los Angeles per guida in stato di ubriachezza, si sia servito solo di medicinali per risolvere un fastidioso raffreddore. Ma sul campione nulla si saprà davvero. Molti anni fa il suo coetaneo Clarence Daniel, giovane quattrocentista da 44'75, fenomeno poi smarritosi nella cocaina, dichiarò dietro compenso, di aver sorpreso Lewis in camera da letto mentre si iniettava l'ormone della crescita. Scattò la querela e Daniel fuggì in Canada per non pagare le spese processuali e i danni al «figlio del vento». Il cui mito, nell'America innamorata degli eroi, non si sgonfierà mai. Nè perderà mai quota.

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