ATALANTA A FINARDI
Ma è bastato che incrociasse di nuovo la Juve, in una partita fondamentale nella caccia allo scudetto numero 27 da parte del club torinese, per vederla ancora affondata da un direttore di gara, lo scadente Pellegrino, il quale ha fatto di tutto per impedirlo di nuocere alla capolista. Nelle rituali interviste del dopo gara Capello ha schivato le polemiche, cavandosela con l'ironia. Al contrario, Sensi è arrivato a minacciare il ritiro della Roma dalla prossima stagione, chiedendo per l'ennesima volta le dimissioni di Carraro e di Galliani. Chi scrive non ha mai sposato la teoria del complotto, altrimenti bisognerebbe invocare l'intervento della magistratura ordinaria e forse chiudere il compromesso baraccone del calcio. Ma i favori goduti in questa stagione dalla Juventus, che non si compensano con i pochi episodi sfavorevoli dai quali è stata frenata in un paio di occasioni, abbinati alle disavventure arbitrali della Roma, determinanti in almeno otto partite, inducono a pensar male. Quanto accaduto da ottobre ad oggi non può essere solo frutto del caso, di direzioni di gare sfortunate, di fischietti semplicemente non all'altezza della situazione. La protezione, definiamola così, di cui gode la società della famiglia Agnelli fa parte della storia del calcio italiano, a cominciare dagli anni Trenta, quelli del famoso quinquennio. È un dato di fatto, magari giungendo alla conclusione che gli scudetti meritati sul campo sono una ventina, o già di lì. Ben più grave è, invece, la volontà (inconscia, si spera) di distruggere Sensi, la cui unica colpa risiede nel pretendere pari opportunità di competere per la sua Roma. Perle nere Le perle nere in natura sono una rarità. Non altrettanto può dirsi di quelle distribuite dagli arbitri nell'ultima giornata di campionato. Di Pellegrino abbiamo già detto. Ma a sbagliare sono stati parecchi altri, anche se in maniera non altrettanto devastante. Incerto Farina, come spesso gli accade, in Brescia-Inter; pasticcione il solito De Santis in Perugia-Atalanta; inadeguato il giovane Castellani, che regala un rigore al Parma e ne nega uno solare al Torino; discutibili Gabriele in Chievo-Reggina e addirittura il grande Collina in Modena-Bologna. Ormai gli arbitri sui quali si può fare pieno affidamento si contano sulle dita di una mano sola. È una crisi, quella del settore, che nasce da lontano, dai campionati minori in cui i direttori di gare dovrebbero farsi le ossa. Oscuri dirigenti dell'Aia, però, favoriscono spesso le carriere di sicure mediocrità, a danno di altre ben più meritevoli. È giunta proprio l'ora, perciò, che vengano spiegati con chiarezza i criteri grazie ai quali un arbitro viene abilitato a salire le scale gerarchiche.